Una Crazy night al Pub
È una notte autunnale.
Fa freddo a ottobre e l’umidità ti entra nelle ossa manco fossero fatte di carta assorbente. Mi trovo in un pub, lo Ship Pub a Soho, un quartiere di Londra. Provo a sedermi al bancone e una bartender dal forte accento irish mi domanda cosa voglio bere.
«Coke», rispondo.
Non bevo alcolici e a quanto vedo risalto nel locale come una mosca bianca. In ogni tavolo c’è almeno una pinta di birra locale o un bicchiere di whisky. La mia attenzione però è attratta da alcuni ragazzi che si stanno esibendo per la “felicità” dei pigri clienti interessati più ad affogare i loro pensieri nell’alcol che nell’ascoltare note musicali o apprezzare tecniche e stili degli strumentisti. I ragazzi, dal canto loro, s’impegnano come forsennati e non meriterebbero tutta questa sonnolente apatia che viene rivolta loro. Il concerto è buono. C’è qualcosa… uno swing particolare che illumina questa buia serata. Forse è il luogo che ispira la musica, quasi che cantare e suonare sia un modo per fuggire dal grigiore, dal silenzio rotto solo dalle pinte sbattute tra loro o dalla stridula voce delle barwomen che spingono a consumare alcol come se non ci fosse un domani.
E forse non c’è.
Bisogna cogliere l’attimo.
Togliersi di dosso l’uggia della giornata.
In un raro impeto di dinamismo invito i ragazzi della band a sedersi al mio tavolino di legno, spesso quanto il debito pubblico italiano. Per convincerli a scambiare qualche chiacchiera con me provo a stuzzicare il loro ego.
«Hey, ragazzi, sapete che mi ricordate i Queen? Il vostro sound è molto simile a quello di Freddy Mercury & Company!».
Devo aver detto qualcosa di sbagliato perché uno di loro, scuro in volto, mi si avvicina col capo reclinato in avanti e sussurra: «Noi siamo i Crazy Queen. Una Cover Band dei Queen. La migliore in circolazione dalle Highlands al Sudafrica, dal Portogallo a Washington, passando per le due Coree».
Devo aver fatto una delle mie colossali gaffe. Provo a rimediare puntando questa volta al loro stomaco.
«Avete fame? Posso offrirvi da mangiare?».
Nonostante lo mascherino bene, riconosco in quei ragazzi un vago accento italiano. L’idea di sedersi al tavolo per cenare a mie spese li convince. Da buoni italiani hanno un moto di ribrezzo quando leggono nel menu di buffalo mozzarella, tomato & pesto toastie o Pastrami e oak-smoked Cheddar con jalapeños, mustard & pickled gherkins. Li capisco. A Londra si sbarca per la musica e le tendenze relative oppure per la City e la Finanza. Se vuoi mangiar bene devi scendere più a Sud, in Italia. A metà della cena provo a porre qualche domanda. Chissà che non serva per scrivere un bell’articolo. Mi rivolgo a quel capellone del cantante. Mi sembra che il frontman sia quello dotato di più disinvoltura e faccia tosta.
«Perché non mi parli di te? Vorresti farti conoscere dai nostri lettori? Raccontaci chi sei e quale ritieni sia la tua missione nella vita».
«Mi chiamo Louis Massari. Sono nato a Venaria Reale nel 1979. I miei genitori provengono dal Sud, tra Napoli e la Calabria. Sono il cantante del gruppo Crazy Queen, una Cover Band che ho contribuito a fondare insieme al chitarrista Alberto Campisi. Oggi siamo un gruppo molto unito e da poco lo abbiamo implementato inserendo nuovi elementi. Attualmente abbiamo in mente diversi progetti, tutti molto belli e sono orgoglioso di tutte le idee e i componenti della Band».
Fa freddo a ottobre e l’umidità ti entra nelle ossa manco fossero fatte di carta assorbente. Mi trovo in un pub, lo Ship Pub a Soho, un quartiere di Londra. Provo a sedermi al bancone e una bartender dal forte accento irish mi domanda cosa voglio bere.
«Coke», rispondo.
Non bevo alcolici e a quanto vedo risalto nel locale come una mosca bianca. In ogni tavolo c’è almeno una pinta di birra locale o un bicchiere di whisky. La mia attenzione però è attratta da alcuni ragazzi che si stanno esibendo per la “felicità” dei pigri clienti interessati più ad affogare i loro pensieri nell’alcol che nell’ascoltare note musicali o apprezzare tecniche e stili degli strumentisti. I ragazzi, dal canto loro, s’impegnano come forsennati e non meriterebbero tutta questa sonnolente apatia che viene rivolta loro. Il concerto è buono. C’è qualcosa… uno swing particolare che illumina questa buia serata. Forse è il luogo che ispira la musica, quasi che cantare e suonare sia un modo per fuggire dal grigiore, dal silenzio rotto solo dalle pinte sbattute tra loro o dalla stridula voce delle barwomen che spingono a consumare alcol come se non ci fosse un domani.
E forse non c’è.
Bisogna cogliere l’attimo.
Togliersi di dosso l’uggia della giornata.
In un raro impeto di dinamismo invito i ragazzi della band a sedersi al mio tavolino di legno, spesso quanto il debito pubblico italiano. Per convincerli a scambiare qualche chiacchiera con me provo a stuzzicare il loro ego.
«Hey, ragazzi, sapete che mi ricordate i Queen? Il vostro sound è molto simile a quello di Freddy Mercury & Company!».
Devo aver detto qualcosa di sbagliato perché uno di loro, scuro in volto, mi si avvicina col capo reclinato in avanti e sussurra: «Noi siamo i Crazy Queen. Una Cover Band dei Queen. La migliore in circolazione dalle Highlands al Sudafrica, dal Portogallo a Washington, passando per le due Coree».
Devo aver fatto una delle mie colossali gaffe. Provo a rimediare puntando questa volta al loro stomaco.
«Avete fame? Posso offrirvi da mangiare?».
Nonostante lo mascherino bene, riconosco in quei ragazzi un vago accento italiano. L’idea di sedersi al tavolo per cenare a mie spese li convince. Da buoni italiani hanno un moto di ribrezzo quando leggono nel menu di buffalo mozzarella, tomato & pesto toastie o Pastrami e oak-smoked Cheddar con jalapeños, mustard & pickled gherkins. Li capisco. A Londra si sbarca per la musica e le tendenze relative oppure per la City e la Finanza. Se vuoi mangiar bene devi scendere più a Sud, in Italia. A metà della cena provo a porre qualche domanda. Chissà che non serva per scrivere un bell’articolo. Mi rivolgo a quel capellone del cantante. Mi sembra che il frontman sia quello dotato di più disinvoltura e faccia tosta.
«Perché non mi parli di te? Vorresti farti conoscere dai nostri lettori? Raccontaci chi sei e quale ritieni sia la tua missione nella vita».
«Mi chiamo Louis Massari. Sono nato a Venaria Reale nel 1979. I miei genitori provengono dal Sud, tra Napoli e la Calabria. Sono il cantante del gruppo Crazy Queen, una Cover Band che ho contribuito a fondare insieme al chitarrista Alberto Campisi. Oggi siamo un gruppo molto unito e da poco lo abbiamo implementato inserendo nuovi elementi. Attualmente abbiamo in mente diversi progetti, tutti molto belli e sono orgoglioso di tutte le idee e i componenti della Band».
Mi rivolgo al chitarrista appena citato.
«E tu? Cosa vuoi aggiungere?».
«Suono la chitarra da ventidue anni e la mia passione per la musica è alimentata dai Queen e dal fantastico Brian May. Credo che il sound abbia il potere di unire le persone e la mia missione nella vita è quella di condividere il mio talento. Vorrei che il mio amore per la musica, le emozioni che i brani e il mio modo di suonare possono trasmettere si diffondano in tutto il mondo».
«Come un contagio virale positivo?», chiedo.
«Esatto», mi risponde il chitarrista.
Mi rivolgo al bassista che dall’alto della sua pinta mi sorride come un bambino quando parla del suo gioco preferito.
«Mi chiamo Giovanni Finamore. Ho 59 anni e sono il bassista della band. Già da bambino la musica mi coinvolgeva fortemente e suonavo per gioco una chitarra elettrica rossa (ovviamente giocattolo) davanti alla radio mentre trasmetteva un famoso programma del tempo chiamato Alto Gradimento. Crescendo ho imparato a strimpellare una chitarra acustica solo in serate con amici anche loro con la stessa passione. Soltanto pochi anni fa ho scoperto che lo strumento più adatto a me è il basso anziché. Ho affinato il mio talento alla scuola di musica per permettermi di esprimermi al meglio e soprattutto completare il mio percorso musicale. Se le missioni nella vita sono ciò che penso la mia è sicuramente quella di portare un messaggio di pace attraverso la musica».
«E tu, invece?», domando rivolgendomi all’ultimo componente della band, il tastierista, Luca Di Maria.
«Sono un ingegnere aerospaziale e musicista polistrumentista. Da poco tempo faccio parte dei Crazy Queen, Tribute Band dell’omonimo Gruppo Rock. Volevo riprendere a suonare dopo troppo tempo di inattività. La missione della mia vita è semplice: divertirmi e divertire gli altri».
Semplice, stringato, efficace.
«Quando non salite sul palco a divertire i vostri fan che cosa fate?», domando prima di ordinare un’altra Coke a una giovane che si sposta tra i tavoli con un taccuino in mano. Mi risponde Louis “Freddy” Massari.
«Partecipo volentieri a feste paesane, sagre. Adoro le cultura storica in generale. Leggo libri di nicchia sulla fisica quantistica e il paranormale. Sono affascinato dal conoscere sempre qualcosa di nuovo». L’unica cosa paranormale che abbia mai conosciuto è la sua voce, penso ma mi trattengo dal dirglielo. Oggi non è la serata adatta.
Inutile che chieda loro quali siano i sogni che fanno prima di svegliarsi. Vogliono tutti diventare grandi come i loro eroi e stanno percorrendo la strada più giusta per arrivare a realizzarlo: lavorando sodo. Pongo ai ragazzi altre domande fino a quando non vedo che la mia Coke mi costringe a restare sveglio e concentrato mentre per gli altri le birre cominciano ad abbassar loro le palpebre fino al pavimento. Ho saputo quel che volevo sapere. La Band c’è ed è ora che lo sappiano anche tutti gli altri. Non ho idea del motivo per il quale si siano voluti chiamare Crazy. A me questi ragazzi sono sembrati dei musicisti con la testa sulle spalle e con una gran voglia di entusiasmare il pubblico. A quel punto mi accorgo che si è fatta mattina. Nel pub stanno entrando i classici top manager in giacca e cravatta. Tra poco meno di due ore riaprirà la City e ci saranno sicuramente azioni e obbligazioni da shortare. È anche per questo brutto mondo della Finanza che gruppi musicali come i Crazy Queen sono nati. Portare felicità laddove esiste solo cinismo e tristezza. Do un buffetto sulle spalle ai ragazzi e vado a pagare al bancone. Devo fare la coda, ovviamente. Mi sono veramente divertito, ho bevuto in compagnia, ho ascoltato una ottima performance e conosciuto una Band che scalerà le vette delle classifiche mondiali del Rock. Posso permettermi di aspettare un po’ di tempo prima di uscire dal pub.
In fondo, è stata una ottima serata.
Degna di essere vissuta.
«E tu? Cosa vuoi aggiungere?».
«Suono la chitarra da ventidue anni e la mia passione per la musica è alimentata dai Queen e dal fantastico Brian May. Credo che il sound abbia il potere di unire le persone e la mia missione nella vita è quella di condividere il mio talento. Vorrei che il mio amore per la musica, le emozioni che i brani e il mio modo di suonare possono trasmettere si diffondano in tutto il mondo».
«Come un contagio virale positivo?», chiedo.
«Esatto», mi risponde il chitarrista.
Mi rivolgo al bassista che dall’alto della sua pinta mi sorride come un bambino quando parla del suo gioco preferito.
«Mi chiamo Giovanni Finamore. Ho 59 anni e sono il bassista della band. Già da bambino la musica mi coinvolgeva fortemente e suonavo per gioco una chitarra elettrica rossa (ovviamente giocattolo) davanti alla radio mentre trasmetteva un famoso programma del tempo chiamato Alto Gradimento. Crescendo ho imparato a strimpellare una chitarra acustica solo in serate con amici anche loro con la stessa passione. Soltanto pochi anni fa ho scoperto che lo strumento più adatto a me è il basso anziché. Ho affinato il mio talento alla scuola di musica per permettermi di esprimermi al meglio e soprattutto completare il mio percorso musicale. Se le missioni nella vita sono ciò che penso la mia è sicuramente quella di portare un messaggio di pace attraverso la musica».
«E tu, invece?», domando rivolgendomi all’ultimo componente della band, il tastierista, Luca Di Maria.
«Sono un ingegnere aerospaziale e musicista polistrumentista. Da poco tempo faccio parte dei Crazy Queen, Tribute Band dell’omonimo Gruppo Rock. Volevo riprendere a suonare dopo troppo tempo di inattività. La missione della mia vita è semplice: divertirmi e divertire gli altri».
Semplice, stringato, efficace.
«Quando non salite sul palco a divertire i vostri fan che cosa fate?», domando prima di ordinare un’altra Coke a una giovane che si sposta tra i tavoli con un taccuino in mano. Mi risponde Louis “Freddy” Massari.
«Partecipo volentieri a feste paesane, sagre. Adoro le cultura storica in generale. Leggo libri di nicchia sulla fisica quantistica e il paranormale. Sono affascinato dal conoscere sempre qualcosa di nuovo». L’unica cosa paranormale che abbia mai conosciuto è la sua voce, penso ma mi trattengo dal dirglielo. Oggi non è la serata adatta.
Inutile che chieda loro quali siano i sogni che fanno prima di svegliarsi. Vogliono tutti diventare grandi come i loro eroi e stanno percorrendo la strada più giusta per arrivare a realizzarlo: lavorando sodo. Pongo ai ragazzi altre domande fino a quando non vedo che la mia Coke mi costringe a restare sveglio e concentrato mentre per gli altri le birre cominciano ad abbassar loro le palpebre fino al pavimento. Ho saputo quel che volevo sapere. La Band c’è ed è ora che lo sappiano anche tutti gli altri. Non ho idea del motivo per il quale si siano voluti chiamare Crazy. A me questi ragazzi sono sembrati dei musicisti con la testa sulle spalle e con una gran voglia di entusiasmare il pubblico. A quel punto mi accorgo che si è fatta mattina. Nel pub stanno entrando i classici top manager in giacca e cravatta. Tra poco meno di due ore riaprirà la City e ci saranno sicuramente azioni e obbligazioni da shortare. È anche per questo brutto mondo della Finanza che gruppi musicali come i Crazy Queen sono nati. Portare felicità laddove esiste solo cinismo e tristezza. Do un buffetto sulle spalle ai ragazzi e vado a pagare al bancone. Devo fare la coda, ovviamente. Mi sono veramente divertito, ho bevuto in compagnia, ho ascoltato una ottima performance e conosciuto una Band che scalerà le vette delle classifiche mondiali del Rock. Posso permettermi di aspettare un po’ di tempo prima di uscire dal pub.
In fondo, è stata una ottima serata.
Degna di essere vissuta.