Intervista allo scrittore torinese Ernesto ChiabottoIncontrare e conoscere le persone è la più bella cosa che può succedere ad un cronista. Quando poi gli incontri sono speciali fa piacere poterli condividere con chi ha interessi comuni, come voi, carissime lettrici e cari lettori. Ernesto Chiabotto è uno scrittore torinese molto attivo. Ha recentemente pubblicato un romanzo che ho trovato molto interessante e intrigante "I Buonanima" per le Edizioni Neos. Visto che la Gazzetta di Hogwords, ha preso a cuore l'attività di divulgare la buona letteratura, e chi ha la capacità e la forza di produrla, ho pensato che accendere i riflettori su Ernesto fosse "cosa buona e giusta". Ed ecco il risultato.
Conosciamoci meglio, chi è Ernesto Chiabotto? Ci disegni il suo autoritratto. Innanzitutto, buongiorno e grazie per ospitarmi in questa rubrica. Per disegnare il mio autoritratto dovrei saperlo fare ma sono una schiappa, che a scuola in disegno aveva un sei risicato. Scherzi a parte, di me parlo malvolentieri, più che altro perché ho avuto una vita più che normale, quindi poco interessante per un eventuale pubblico. Laureato, sposato un paio di volte, due figli, genitori che hanno passato le vicissitudini della Seconda guerra mondiale e hanno lavorato sodo per farsi strada e dare a me e mio fratello la possibilità di studiare. Ora faccio il pensionato, anche se piuttosto attivo, direi. Una vita come tante, insomma. Qual è, attualmente, la definizione di sé stesso che preferisce? Sono un uomo che dopo alterne vicende e molti errori, ha finalmente fatto pace con sé stesso. Ho raggiunto un'età in cui ho imparato a perdonarmi e dimenticare, ricordando il passato senza troppi rimpianti e guardando al futuro con moderato stupore, qualche perplessità e poca paura, condizioni che mi permettono di vivere e gustarmi il presente. Almeno fin che la salute mi accompagnerà. Entriamo nel tema della sua grande passione: la scrittura. Ci può descrivere qual è stata la molla che ha fatto scattare in lei l’amore per lo scrivere e per la letteratura? Anche qui faccio un po' fatica a rispondere in modo preciso. Io ho più o meno sempre scritto qualcosa, racconti e appunti che ho ancora in vecchi quaderni. A leggerli oggi (ogni tanto lo faccio) mi viene da ridere tanto sono ingenui e pieni di stupidaggini, però li tengo perché sono parte di me. Ho cominciato a partecipare a qualche concorso una ventina d'anni fa e ho avuto le mie prime soddisfazioni. Così quando ho avuto più tempo mi sono cimentato in progetti sempre più ambiziosi, fino ad oggi. E forse anche domani, se le cose andranno come spero. Visto che la Gazzetta è l’organo di informazione ufficiale delle Edizioni Hogwords, ed ha lettrici e lettori molto interessati al rapporto che si instaura tra i personaggi intervistati e i loro interessi letterari, storici, scientifici le chiediamo se ci può raccontare qualche passo della sua storia personale? Oddio, dovrei di nuovo parlare di me? Parto dagli interessi allora. Quelli letterari sono onnivori, nel senso che non ho un genere o un autore di cui ho letto ogni riga che ha pubblicato. So che ci sono molti che lo fanno, ma a me piace cambiare spesso e quindi salto dal giallo alla narrativa sudamericana, dall'hard boiled ai classici, dai saggi alle biografie. Se posso citare, in ordine sparso, autori che mi piacciono molto, per vai motivi, direi: Victor Hugo, Isabel Allende, Micheal Crichton, Massimo Recalcati, Enrico Pandiani, Cesare Pavese, Ernest Hemingway, Jo Nesbo, Isaac Asimov. Ma ce ne sono talmente tanti altri che riempirei diverse pagine. La storia ha iniziato a interessarmi molto tardi, ben dopo gli anni del liceo e ultimamente per merito del prof Barbero, naturalmente, che è anche un notevole romanziere. Per la scienza, beh, io sono laureato in farmacia, ma mi hanno fatto talmente odiare la chimica che quando mi sono laureato mi è passata la voglia di approfondire. E dire che è una materia affascinante. Peccato, ormai è tardi... Ci può parlare delle sue ispirazioni letterarie, delle sue pubblicazioni e del rapporto che ha con gli editori? Le mie ispirazioni derivano da tanti fattori e sono dipendenti da fatti a volte occasionali a volte da riflessioni su qualche argomento più serio. Molto spesso un'idea mi è nata leggendo qualche notizia o un libro, come nel caso dell'ultimo romanzo. Parto da alcune considerazioni su quel che ho imparato, poi elaboro a modo mio. Se per “ispirazione” intende invece dal punto di vista stilistico, il discorso cambia e dipende molto dal genere a cui mi devo attenere. Mi spiego meglio: se scrivo un racconto noir, non mi posso ispirare come stile a Hemingway o Pavese, piuttosto a Nesbo o Pandiani. Se scrivo narrativa, i riferimenti, ovviamente cambiano ma anche qui dipende da cosa devo scrivere. Diciamo che il linguaggio è sempre al servizio dell'atmosfera che si deve creare e varia di conseguenza. Per quanto riguarda il rapporto con gli editori, sono piuttosto limitati. All'inizio, come tutti, ho incontrato anche diversi lestofanti che volevano soltanto spillarmi soldi e da cui sono fuggito a gambe levate. Quando ho incontrato Neos Edizioni è stato diverso e si è subito creato un ottimo feeling, che è andato aumentando nel corso degli anni. Ci sono sicuramente altri editori seri, anche più grandi e importanti, magari con una distribuzione più efficace, vero punto dolente delle piccole realtà, però non so se oggi una Casa Editrice seria voglia puntare su una persona della mia età, soprattutto senza chiedere in cambio un impegno che non so se sarei in grado di sostenere. Con Neos Edizioni ho un rapporto ormai consolidato e di reciproca fiducia. Va bene così. Quanto è importante Torino per lei e per la sua produzione letteraria? Beh, Torino è la mia città, quella dove ho passato tutta la mia vita ed è una città che adoro, che trovo bellissima e mi affascina e sorprende ancora oggi. Se devo ambientare una storia in un luogo che conosco bene, direi che è perfetta. Il Custode, il mio romanzo d'esordio si svolge quasi tutto nel Quadrilatero, per esempio. Poi ho allargato gli orizzonti, nel senso che gran parte del mio secondo romanzo è ambientato in Iran e l'ultimo, I Buonanima in un paesino di montagna, distantissimo da Torino per mille motivi. Nonostante questo, anche in quei romanzi, un riferimento a Torino c'è sempre. Anzi, ne Il viaggio delle verità svelte, il secondo romanzo, la parte ambientata in una lontana Torino, quella della fine anni '70, è fondamentale Lei è anche curatore di antologie ed ha rapporti con molti autori del territorio ha sicuramente un’idea su un quesito che mi tormenta da tempo. Secondo lei gli scrittori piemontesi che pubblicano e scrivono per case editrici indipendenti e non legate ai grandi gruppi (in città, in provincia e in regione sono moltissime, compreso la nostra) hanno, o avranno, la possibilità di essere notati in qualche modo dai lettori o resteranno relegati nella dimensione regionale, quasi esclusi dal panorama nazionale? Questa è una domanda che ha mille risposte, nessuna delle quali è esaustiva. Il problema è gigantesco e parte dal numero di persone che vogliono pubblicare, rispetto a quelle che si limitano a leggere. Delle seconde ce n'è sempre meno, delle prime sempre di più e già questo è un bell'argomento di conversazione. Definirsi “scrittori” solo perché si sono pubblicati alcuni romanzi poi mi pare un pochino esagerato, a partire dal sottoscritto. Forse bisognerebbe definire meglio cosa si intende per “scrittori” o “scrittrici” e non dimenticare mai una certa dose di umiltà. Io sono dell'idea, per esempio, che scrivere la storia vera della propria famiglia, a meno di essere dei geni letterari o avere avuto una famiglia straordinaria, è poco interessante. Ma è un parere personale perché a me non piace l'autobiografismo, che invece sembra la base di partenza di ogni esordiente. Detto questo, chi scrive, in Piemonte come altrove, ha sempre l'ambizione di farsi leggere, conoscere, arrivare alla notorietà e magari al successo, meglio ancora vedere le proprie pagine trasformate in qualche pellicola o Serie televisiva, che pare oggi un traguardo meraviglioso. Per arrivare a tanto, secondo me, ci vuole, in ordine sparso: talento nello scrivere, fiuto per i gusti del tempo, una buona promozione, una certa sfacciataggine, le conoscenze giuste, sapersi “vendere bene”, un notevole coraggio, tanta perseveranza. Oltre a queste cose ci metterei anche una notevole dose di c.… fortuna, per trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Come sappiamo il “fattore C” è fondamentale in ogni occasione della vita e l'editoria non fa eccezione. Il periodo della quarantena è stato particolarmente difficile. Ha avuto esperienze particolari, paure, tristezze o gioie inaspettate da raccontare? Cosa rimarrà nel suo cuore e nella sua mente di studioso e di critico di quei lunghi giorni? Con quali speranze e desideri l’uomo Ernesto Chiabotto sta tornando alla vita normale, se mai la vita ritornerà normale? Non vorrei deludere i lettori, ma il periodo del Covid per me è stato un periodo molto strano ma non drammatico. All'inizio, nel 2020 ho vissuto un paio di fatti personali molto positivi ed è stato addirittura un buon anno. C'è poi da dire che ritengo di essermi costruito un certo equilibrio, probabilmente dovuto all'età, poi convivendo con mia moglie la solitudine non mi tocca. Detto questo, se escludo l'aspetto personale, è stata un'esperienza ai limiti del fantascientifico, e ho patito l'isolamento sociale e prolungato come tutti, soprattutto per i rapporti famigliari. Per farle un esempio il mio primo nipote l'ho visto di persona dopo che aveva compiuto due anni e sono ferite che rimangono nell'animo. Se poi ripenso a quei mesi incredibili, al silenzio delle strade, al timore di avvicinarsi agli altri, alle discussioni infinite e sterili tra ortodossi e negazionisti, ai dibattiti televisivi, alle conferenze, presentazioni, riunioni virtuali, cene a distanza condivise su Zoom e simili, mi sembra di aver davvero vissuto in un film assurdo. Di quel periodo mi ricordo anche una certa sorpresa riguardo a persone che stimavo. Alcune si sono rivelate complottiste su qualunque argomento, altre hanno scambiato il concetto di “libertà” con l'idea che fosse lecito fare tutto quello che volevano mal sopportando le limitazioni civiche che ci hanno portato fuori dalla pandemia. Di conseguenza sono sparite dalle mie frequentazioni e io dalle loro, meglio così. Più in generale, con la progressiva ripresa ho notato una tendenza al conformismo, forse perché questo da quella sicurezza che ci era venuta a mancare e a cui eravamo impreparati. Questo lo sopporto poco perché mi sembra davvero un grande limite. Sappiamo da tempo come ci sia un diffuso impoverimento del linguaggio e mi sembra che sempre più spesso, si adotti una sorta di Neolingua con un tripudio di frasi fatte, modi di dire buoni per tutto e niente. La parola d'ordine, in ogni campo è diventata “semplicità”. Orwell ci aveva visto giusto, purtroppo. Il punto è che i pensieri semplici sono molto facili da controllare e indirizzare e che, al contrario, per trovare idee nuove, soluzioni nuove, c'è bisogno di scontrarsi con la “complessità”, molto più stimolante. Il mio desiderio, la mia speranza, visto che me lo ha chiesto è che si ritorni, in qualche modo, a ritrovare il valore del dubbio, delle domande profonde, complesse, soprattutto per chiedersi in che direzione vogliamo veramente andare, sia dal punto di vista personale che sociale, e lo dico pensando ai miei figli, ai nipoti. Un po' la vedo dura, ma spero sempre in una svolta... Ci parli del futuro. Sta pensando, scrivendo o organizzando qualche interessante novità? Beh, con quel che ho detto prima non vorrei che si pensasse che sono un catastrofista, non è così. Anzi, personalmente ho molti progetti di vita, in molte direzioni e spero di realizzarne la maggior parte, tutti sarà certamente impossibile. Per la scrittura, mi sto dedicando alla promozione de "I Buonanima" e della Collana "Tutto Sotto", una antologia di racconti noir editi da Neos Edizioni di cui sono il curatore. Poi ho già in mente altre idee per un paio di romanzi. Prima o poi i personaggi mi terranno sveglio di notte e quello sarà il momento in cui dovrò farli uscire, pena l'essere loro ostaggio. Se saranno interessanti, lo vedrò dopo una prima stesura. A quel punto deciderò se finiranno in un libro o riposeranno come tanti altri in un cassetto. Infine, le chiedo gentilmente di fare un saluto ai nostri lettori che, da oggi, avranno un amico in più da seguire… Posso augurare a tutte e tutti di amare la vita, i propri cari e pensare sempre e in modo costruttivo al presente. Il passato è passato, il futuro non si conosce, lo costruiamo minuto per minuto con le nostre scelte. Nel saluto finale aggiungerei anche: “leggete, tanto e di tutto, perché leggere allarga la mente ed è la cosa di cui abbiamo più bisogno”. E magari nelle letture metteteci anche i miei libri, perché no? Un saluto ed un grazie ad Ernesto per la sua disponibilità e per la cortesia, ed un abbraccio sincero alle nostre splendide e carissime lettrici ed agli appassionati lettori. Claudio Calzoni |