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4 maggio, Il Giorno del Toro 

Pubblichiamo le riflessioni dei lettori, degli scrittori, dei tifosi che arrivano in redazione, sul tema del 4 Maggio, giorno della tremenda tragedia di Superga, quando l'aereo del Grande Torino si schiantò sulla collina.
​

Iniziamo con le pagine di Marco Piano, scrittore torinese, appassionato di calcio autore di "Quando il 5 era lo stopper" edito da Daniela Piazza Editore Torino e del direttore di questa rivista, Claudio Calzoni, autore, tra gli altri, del libro "I Luoghi del Toro" edito da Yume Books Torino

Il 4 Maggio
di Marco Piano

​

Dario, classe ’33, non si interessava di calcio.
Era sfollato a Castagnito, una decina di Km. da Alba e tornato a Torino alla fine della guerra aveva nuovamente occupato il minuscolo alloggio al primo piano di Via Frejus angolo Via Monte Albergian. 
Il padre aveva una bottega di ciabattino sotto casa.
Il 4 Maggio del ’49 quel ragazzo già lavorava, studiare era un’occupazione da ricchi.
La città si stava faticosamente risollevando dopo gli anni bui di una guerra che, come tutte le guerre, non aveva nulla di giusto. Erano quelli anni di tremenda fatica e di fame: il presente da inventare, il futuro da sognare.
Ma c’era una cosa, anzi una squadra, che riusciva a risollevare l’umore di una popolazione ferita. In zona Lingotto, in uno gioiello con gli spalti a ridosso del campo di gioco, undici ragazzi con la maglia granata non conoscevano la parola sconfitta.
Su 88 partite disputate in quel tempio chiamato Filadelfia ne vinsero 78 e ne pareggiarono 10.
Uscire da vincitori contro quei campioni era semplicemente impossibile.
La gente aspettava il giorno di festa assediando tram o inforcando biciclette per arrivare nell’unico posto nel quale era festa garantita.
E nei rari momenti di difficoltà in campo una tromba dava la carica e il capitano si alzava le maniche giusto per avvertire il malcapitato avversario di turno che era giunto il momento di fare sul serio.
Poi, una promessa da mantenere: giocare una amichevole in terra lusitana per festeggiare l’addio al calcio del capitano, amico del capitano.
Quel 4 Maggio le nuvole basse e un temporale di inaudita violenza nascosero al comandante Meroni (la storia a volte è davvero beffarda) le sembianze della basilica.
Quasi tutta la città sembrò udire lo schianto dell’aereo.
Non si salvò nessuno: né giocatori, né dirigenti e giornalisti al seguito.
Moriva in quel momento una compagnia di atleti ma soprattutto di uomini. Moriva un sogno.
Dario, che molti anni dopo sarebbe diventato mio padre, aveva 16 anni e non si interessava di calcio. Ma conosceva a memoria la formazione di quella squadra, recitata come una filastrocca immortale.

Marco Piano
Il 4 Maggio
di Claudio Calzoni​


Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola
La formazione a memoria. Ogni ragazzo, ogni uomo, ogni appassionato di sport a Torino, in Italia, nel Mondo la conosceva, la ripeteva con il telecronista la domenica. Erano cinque anni che quella squadra vinceva tutto e dappertutto, incantava per il modo di giocare, per la grande professionalità e l’umanità dei suoi giocatori. Era il Grande Torino, squadra dominatrice dalla fine della guerra dei Campionati Italiani, compagine richiesta spesso all’estero per dare lezioni di calcio ed agitare i cuori di migliaia di immigrati, fonte principale dei giocatori della Nazionale.
L’Italia, risorta dalla guerra, lacerata dalla guerra civile, aveva bisogno di ricostruirsi, di ritrovare una identità. Fortunatamente, quella squadra di campioni, costruita a cavallo della guerra da Ferruccio Novo presidente serio e coraggioso, con le sue vittorie esaltanti e la spiccata personalità dei suoi giocatori fu un catalizzatore eccezionale di gioia sportiva, passione viscerale e sana voglia di rinascere cercando di dimenticare l’orrore della guerra. Assieme agli eroi del ciclismo, Bartali e Coppi, fu il Grande Torino a incarnare quello spirito. Una sterminata bibliografia sui campionissimi, a cui ultimamente ho contribuito anche io con il mio “I luoghi del Toro” edito da Yume nel 2019, è l’esempio di quanto questa squadra sia rimasta nel cuore e nei ricordi di tanti, tantissimi tifosi.
Il destino con quei ragazzi, tutti giovani e semplici, tutti alla ricerca di un futuro, anche fuori dal calcio, è stato veramente crudele. Il 4 maggio del 1949, alle 17.05, l’aereo che li riportava a Torino, in pieno temporale e con la nebbia bassa sulla città, si andò a schiantare a pochi metri dalla cima della collina di Superga, finendo accartocciato contro il muro, rivolto alla valle astigiana, della Basilica. Il dramma fu immenso. Morirono tutti, i giocatori, gli accompagnatori, i membri dell’equipaggio. La notizia arrivò in città che le fiamme del rogo nel bosco non si erano ancora spente. Al Campo Volo
dell’Aereonautica
al fondo di corso Marche, dopo l’ultimo contatto radio “tutto bene, arriviamo” gli addetti all'atterraggio attesero invano. “E’ caduto un aereo, venite” parlò al telefono il parroco della Basilica. Qualche valigia, i documenti e le magliette sparse tra il fango e la cenere. I soccorritori, i curiosi, non ci misero tanto a capire che quello era il Loro aereo. Tornavano da Lisbona, dopo aver giocato una partita amichevole, un po’ per far piacere all'amico di Valentino, un po’ per fare una meritata vacanza. Lo scudetto, dopo il pareggio della domenica a San Siro con l’Inter, era ormai sicuro. Nulla poteva fermarli, solo il destino.

In città fu il lutto totale. Erano morti gli idoli, gli eroi, i campioni, i padri, i fidanzati, i ragazzi. Con loro i giornalisti Renato Casalbore, Renato Tosatti e Luigi Cavallero, le migliori penne di Tuttosport, della Gazzetta del Popolo e della (nuova) Stampa. E i dirigenti Anisetta, Civallari e Bonaiuti e tutto lo staff tecnico con l’allenatore Egri Erbstein, Il tattico Leslie Lievesley e il massaggiatore Cortina. Poi l’equipaggio, capitanato dal Comandante Pierluigi Meroni (uno degli eroi di guerra dell’aviazione), Bianciardi, D’Incà e Pangrazi.
Una strage. Si pianse a lungo in città e nel mondo. Ma non voglio tediarvi. Novo, il presidente non era andato a Lisbona per un’influenza, e non se lo perdonò per tutta la vita. Avrebbe voluto morire con i suoi campioni, con i suoi figli. La città nel giorno dei funerali si fermò attonita. Vivo queste emozioni nei ricordi di mio padre, presente ai funerali. Vivo nei ricordi delle tante persone che ho sconosciuto che in qualche modo hanno avuto a che fare con la tragedia e la squadra, figli e parenti dei Campionissimi, dirigenti, giocatori delle giovanili che hanno preso il loro posto in squadra.
Quando mi dicono, ci dicono “Perché sei del Toro” so sempre cosa rispondere. Sono uno che ama stare dall'altra parte, da quella sbagliata se è possibile, da quella che ama la sofferenza e il sudore, non scende a compromessi, ama lottare e anche perdere a volte, per essere più felice nel giorno della vittoria.
Questi valori, ora inutili e obsoleti nell'esaltazione dell’opportunismo, della truffa e del potere economico, sono quelli che vorrei fossero compresi dai giovani. Anche se le fotografie ed i filmati di allora, quei ragazzi, quei campioni, vivevano la loro vita a colori, pieni di speranze e ambizioni, chiamiamoli sogni.
Mi auguro che, passato questo strano periodo d’inerzia, di terrore, di clausura e disperazione il 4 maggio possa diventare non solo un giorno di celebrazione e ricordo, ma una giornata di speranza e rinascita, nel segno dei Campionissimi. Una rinascita umida di lacrime ma piena di orgoglio e fiducia nel futuro.
Chi è del Toro, nella mente e nel cuore, capirà bene cosa voglio dire.



​Claudio Calzoni
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4 Maggio: il giorno del Grande Torino

Il 4 maggio è alle porte.
Per molti questa data non significa nulla, alcuni, specie i più giovani, pensano sia la vigilia del famoso 5 maggio di manzoniana e napoleonica memoria. In realtà per Torino il 4 maggio del 1949 è stato uno dei giorni più tragici e dolorosi. Quel giorno, alle 17.05, di ritorno da una partita amichevole a Lisbona, l’aereo che trasportava i giocatori ed i dirigenti della squadra del Grande Torino, si schiantava sulla collina di Superga, dietro alla Basilica. Nel disastro morirono 31 persone e soprattutto terminò il cammino della squadra in quegli anni più forte del mondo. Per la città tutta, e non solo per i tifosi, fu un dolore lacerante. In quel giorno di pioggia e di nebbia furono cancellate in un attimo tante speranze sportive e sociali legate alle imprese di quella squadra, quella degli Invincibili del Grande Torino di Ferruccio Novo e guidata da Valentino Mazzola, che tanto aveva contribuito alla rinascita dell’orgoglio italiano nel mondo. Per onorare quei ragazzi, entrati nel Mito, ogni tifoso granata, cerca di vivere al meglio quel giorno.
Quest’anno, nulla è sicuro in questa situazione irreale, probabilmente non si potrà andare alla consueta messa nella Basilica di Superga in memoria delle vittime, non si potranno ascoltare i nomi dei giocatori letti dal capitano e una salterà quindi una tappa tradizionale di riflessione, preghiera, emozione e ricordo.
Ma il cuore dei tifosi non può rimanere silenzioso.
Per questo la Gazzetta di Hogwords propone ai lettori, agli scrittori, ai poeti, ai tifosi, granata e no, di partecipare ad una iniziativa particolare che nasce proprio dalla necessità di non dimenticare, di non lasciare disperdere nel tempo il ricordo di quella squadra, dei suoi giovani e famosissimi campioni e della tragedia che li ha portati via, a giocare su altri campi in cielo.
Chi vuole può mandare uno scritto, una poesia, un ricordo, un’esortazione o una preghiera per parlare ai lettori, raccontare ai giovani e a chi non riesce o non vuole capire, gli Invincibili e la tremenda tragedia di Superga.
Non mandatemi romanzi, basta una paginetta, basta un pensiero, naturalmente non offensivo. Verranno pubblicati, al più presto, in una rubrica dedicata dal giornale al 4 maggio ed al Grande Torino, che dovrebbe partire entro il 30 aprile.
Non esistono premi, o classifiche di merito, esiste solo la voglia di far ritrovare, per un attimo e nel nome degli Invincibili, unita una grande famiglia, quella del cuore Toro e dei tifosi granata. Una grande famiglia che non ha nessuna intenzione di dimenticare ma vuole vivere, sempre, la speranza di un futuro migliore.

Claudio Calzoni

Chi è interessato può chiedere info o mandare direttamente gli elaborati a

lagazzettadihogwords@gmail.com
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