A luci spente si illuminano le emozioni. Seconda puntata. Elvis.Elvis il film.
Erano anni che non andavo al cinema e questa botta di vita è stata quasi imposta da mia figlia. Ora, che sono appena uscito, in una mezzanotte di giugno splendidamente fresca e ventilata, alzo gli occhi al cielo verso le stelle splendenti. Non vi spoilero il film, non amo raccontare la storia e lo spettacolo a cui ho appena partecipato. Storia per altro semplice e didascalica, che viene narrata con sapienza e abilità nel film. Se basta, al lettore, dirò del ritmo che permea ogni scena, ritmo serrato ed evocativo che non a tutti può giungere direttamente al cuore perché non fa parte della cultura italiana e non ha molti punti di contatto con l'attuale produzione musicale. Anche se il blues del sud degli Stati Uniti è stato il motore della musica moderna, del rock, del Jazz, e il punto di partenza dell'industria discografica (e di ogni sua ramificazione) la valenza di quel ritmo, di quel pianto che diventava e diventa urlo dell' anima e dell'animale che è nel cuore di tutti, per gli europei non è stato che imitazione. Noi, ascoltatori e musicisti che non abbiamo vissuto a Memphis negli anni del primo e del secondo dopoguerra, possiamo capire, apprezzare, riprodurre con tutta la nostra tecnica l'anima del blues ma non potremo mai viverlo in tutte le sue, innumerevoli e incommensurabili espressioni. Ecco, se una cosa mi ha colpito, e commosso, in tutto il film, è la potenza della rappresentazione continua della dicotomia e dell'attrazione che si è innescata in quegli anni tra la musica e il popolo, prima quello americano e poi, anche attraverso la diffusione del vinile, quello di tutto il mondo. Badate bene, ho detto popolo non pubblico. Da una parte l'ascesa, anche per motivi essenzialmente commerciali, di un genere trascinante e travolgente (che vedeva in Elvis il maggiore esponente) e dall'altra il rifiuto alla novità, all'integrazione sociale, alla diversità che nasce dalle convinzioni di una società fortemente individualista e poco propensa a modificarsi. E scopriamo, nel film, quanto è successo dal 1950 al 1975 in quell'America che stava dominando il mondo dopo aver partecipato, quasi senza accorgersene, alla seconda guerra mondiale che aveva modificato l'Europa. Da quegli anni, la guerra, (quella tra i Rocker e i bacchettoni, quella tra i bianchi ricchi e i negri poveri e tra i negri ricchi e gli ispani poveri, con gli indiani che non stanno a guardare, quella guerra tra le sette religiose e i gruppi di esaltati, tra gli hyppies e gli yuppies, tra vicini di casa e gli ospiti dell'aerea 51) si è spostata sulle strade dritte del deserto e sulle rive del Missisipi e forse non è ancora finita e non finirà mai. La più grande attrazione del mondo però non la potremo dimenticare. Ed Elvis, il film, è la sua storia. Ho pianto, commosso, alla fine. Ho rivissuto nel film emozioni che hanno attraversato (con i telegiornali, i dischi, le voci alla radio) la mia esperienza e cementato le mie passioni, il mio carattere, il mio ritmo. Anche se le note arrivavano da lontano, portavano quello che, allora, chiamavamo vita. Grazie al regista Bazz Luhrmann , agli attori Tom Hanks (vecchio e ironico interprete del Colonnello Parker) e Austin Butler (giovane e frenetico Elvis) che hanno fatto un bel film. Buona visione. Claudio Calzoni |