Poveri illusi da appeal da sconfitte
C’è stato il Consiglio Federale. Interessante come tutti i Consigli Federali passati, presenti e futuri. Della serie: “Tanto se la cantano e se la suonano come pare a loro” E se si è juventini, si procede a non capire nulla di politichese applicato al calcio, perché attratti in toto dal pro o contro Allegri, almeno si parla di calcio, senza dover dimostrare di saperne…
Come sempre però, la “ciccia” si manifesta a Consiglio avvenuto, quando lo stuolo di cronisti si assiepa attorno al Grande Capo del Calcio, alias tale Gravina Gabriele, anni 70 da Castellaneta (TA). Oggetto dell’intervista, tra le altre cose, il sonoro ceffone che le televisioni a pagamento hanno rifilato alla Lega, valutando il prodotto Serie “A” non più valido di circa 600 milioni di euro. Un’offerta che suona come una gentile concessione, per onore di firma, ma che profuma di “se potessimo, ne faremmo a meno”.
Queste le dichiarazioni del “numero uno” (e la mente va ad Alan Ford…) del pallone italico:
"È chiaro che l'offerta debba essere direttamente proporzionale anche alla qualità del prodotto che viene messo sul mercato. Tutti pensavamo, forse ci eravamo un po' illusi, che i risultati delle squadre italiane avrebbero dato un appeal. Ma la domanda che ci dobbiamo porre sul made in Italy, che l'Italia ha perché ha una forza scolpita nella storia, è se sia giusta la qualità del prodotto che noi offriamo. Su questo probabilmente dobbiamo fare una riflessione su un progetto molto più ampio e complesso”.
Dunque, i dirigenti calcistici si erano forse illusi per i risultati delle squadre italiane… Cioè a dire che non qualificarsi per due volte consecutive ai mondiali per nazioni; che perdere tre finali consecutive su tre in 10 giorni; che continuare a perdere anche con i giovani dell’under 20; tutto questo avrebbe fatto esplodere “un certo appeal”?
Per esternazioni di siffatto tenore, non colgo se è più necessario un costante studio notturno o una botta di genialità genuina.
È vero che il “made in Italy” ha una forza scolpita nella storia. Peccato che la storia si fermi al 2006 e che l’Europeo sia stato frutto del contingente, finito un minuto dopo la premiazione.
In Italia si offre un prodotto misero e poco appetibile, ma ci si fermasse soltanto a ciò. In Italia si costringe una squadra a volteggiare sulle montagne russe per il gusto di togliere una concorrente dalla lotta scudetto, anzi dalla coppe europee. In Italia si pensa che diventare vice presidente U.E.F.A. sia sinonimo di vantaggio. Prego, verificare l’arbitraggio di Francia - Italia under 21, per comprendere che la carica è fittizia e priva di consistenza. In Italia si pensa a parlare di Play – off se quella certa squadra continua a vincere, salvo poi dimenticarsene al cospetto di altri verdetti del campo. In Italia, il massimo della gravità, non si ha certezza su nulla e chi agita “casini” la fa da padrone.
È in gioco la credibilità della classe dirigente, altro che l’appeal… Stiamo provando una cocente nostalgia di Tavecchio, che è come stare seduti sull’uscio di casa come la vecchietta che rimugina i bei tempi in cui poteva dare cattivo esempio.
Ancora grazie che l’offerta abbia superato il mezzo miliardo. A sentire e vedere certi dirigenti, si dovrebbe assistere ad aste completamente deserte. Ecco, se gli organi di governo del calcio pensassero davvero a “un progetto più ampio e complesso”, inizierebbero dal dare le dimissioni di massa, iniziando da colui che esaltò la genialata del “dato che vince sempre una stessa squadra, bisogna impedire che ciò si protragga nel tempo” (possibilmente a vantaggio delle romane, una delle quali è la squadra del cuore).
Dimissioni di massa, con la velocità dei topi che seguivano la musica del pifferaio magico e che sappiamo tutti che fine abbiano fatto.
E poi cambiare mentalità, tornare seri e stimati. Dare precedenza al merito e non all’intrallazzo. Distribuire i diritti televisivi per importanza e non per “volèmose bbene”. Perché, tolta la parte equa, in Inghilterra il resto viene spartito a seconda del piazzamento e non con intenti punitivi nei confronti dei club trainanti. Come da noi, non è vero?
La situazione è seria e pure… Gravina. E non fa più ridere nessuno.
Marco Sanfelici
Giornalista, opinionista, Scrittore
Come sempre però, la “ciccia” si manifesta a Consiglio avvenuto, quando lo stuolo di cronisti si assiepa attorno al Grande Capo del Calcio, alias tale Gravina Gabriele, anni 70 da Castellaneta (TA). Oggetto dell’intervista, tra le altre cose, il sonoro ceffone che le televisioni a pagamento hanno rifilato alla Lega, valutando il prodotto Serie “A” non più valido di circa 600 milioni di euro. Un’offerta che suona come una gentile concessione, per onore di firma, ma che profuma di “se potessimo, ne faremmo a meno”.
Queste le dichiarazioni del “numero uno” (e la mente va ad Alan Ford…) del pallone italico:
"È chiaro che l'offerta debba essere direttamente proporzionale anche alla qualità del prodotto che viene messo sul mercato. Tutti pensavamo, forse ci eravamo un po' illusi, che i risultati delle squadre italiane avrebbero dato un appeal. Ma la domanda che ci dobbiamo porre sul made in Italy, che l'Italia ha perché ha una forza scolpita nella storia, è se sia giusta la qualità del prodotto che noi offriamo. Su questo probabilmente dobbiamo fare una riflessione su un progetto molto più ampio e complesso”.
Dunque, i dirigenti calcistici si erano forse illusi per i risultati delle squadre italiane… Cioè a dire che non qualificarsi per due volte consecutive ai mondiali per nazioni; che perdere tre finali consecutive su tre in 10 giorni; che continuare a perdere anche con i giovani dell’under 20; tutto questo avrebbe fatto esplodere “un certo appeal”?
Per esternazioni di siffatto tenore, non colgo se è più necessario un costante studio notturno o una botta di genialità genuina.
È vero che il “made in Italy” ha una forza scolpita nella storia. Peccato che la storia si fermi al 2006 e che l’Europeo sia stato frutto del contingente, finito un minuto dopo la premiazione.
In Italia si offre un prodotto misero e poco appetibile, ma ci si fermasse soltanto a ciò. In Italia si costringe una squadra a volteggiare sulle montagne russe per il gusto di togliere una concorrente dalla lotta scudetto, anzi dalla coppe europee. In Italia si pensa che diventare vice presidente U.E.F.A. sia sinonimo di vantaggio. Prego, verificare l’arbitraggio di Francia - Italia under 21, per comprendere che la carica è fittizia e priva di consistenza. In Italia si pensa a parlare di Play – off se quella certa squadra continua a vincere, salvo poi dimenticarsene al cospetto di altri verdetti del campo. In Italia, il massimo della gravità, non si ha certezza su nulla e chi agita “casini” la fa da padrone.
È in gioco la credibilità della classe dirigente, altro che l’appeal… Stiamo provando una cocente nostalgia di Tavecchio, che è come stare seduti sull’uscio di casa come la vecchietta che rimugina i bei tempi in cui poteva dare cattivo esempio.
Ancora grazie che l’offerta abbia superato il mezzo miliardo. A sentire e vedere certi dirigenti, si dovrebbe assistere ad aste completamente deserte. Ecco, se gli organi di governo del calcio pensassero davvero a “un progetto più ampio e complesso”, inizierebbero dal dare le dimissioni di massa, iniziando da colui che esaltò la genialata del “dato che vince sempre una stessa squadra, bisogna impedire che ciò si protragga nel tempo” (possibilmente a vantaggio delle romane, una delle quali è la squadra del cuore).
Dimissioni di massa, con la velocità dei topi che seguivano la musica del pifferaio magico e che sappiamo tutti che fine abbiano fatto.
E poi cambiare mentalità, tornare seri e stimati. Dare precedenza al merito e non all’intrallazzo. Distribuire i diritti televisivi per importanza e non per “volèmose bbene”. Perché, tolta la parte equa, in Inghilterra il resto viene spartito a seconda del piazzamento e non con intenti punitivi nei confronti dei club trainanti. Come da noi, non è vero?
La situazione è seria e pure… Gravina. E non fa più ridere nessuno.
Marco Sanfelici
Giornalista, opinionista, Scrittore