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La schedina vincente Intervista a Marco Edoardo Sanfelici

Un nuovo e bellissimo progetto letterario, con valenze sportive e umanitarie, sta per vedere la luce sotto l'egida della Casa Editrice Giangiacomo Della Porta di Moncalieri. Tredici scrittori, amanti dello sport, del calcio e della sua valenza sociale e storica raccontano, nel libro “La schedina vincente” i loro ricordi e le emozioni legate ad una particolare partita, quella che, in qualche modo, ha segnato la loro vita. 

Conosciamoci meglio, chi è Marco Sanfelici? Ci disegni il suo autoritratto.
Marco Sanfelici nasce a Torino tanti anni fa...occorre proprio che lo dica?  Sono entrato nella schiera sempre più numerosa degli “anziani” da qualche mese, ma guardandomi allo specchio non ho proprio l'impressione di cedere alle ingiurie del tempo. Nato e cresciuto, nonché vissuto in riva al Po (sono nato in via Napione), ho conosciuto il dialetto di Parma come primo idioma. Ho origini padane a cavallo di Lombardia ed Emilia, laddove il Po arriva al chilometro di larghezza tra le rive di Viadana e Boretto, terra di don Camillo. Ho conosciuto la Torino dei torinesi, quelli col pedigree autentico, dentro le “bòite” e le officine, giocando a pallone nei prati delle periferie non ancora edificate, frequentando gli oratori in giornate interminabili di gioco e di formazione umana. Ho sul groppone otto anni di medie e liceo in scuole salesiane, come ogni torinese che si rispetti, dato che il marchio di don Bosco non si fatica in città a trovarlo stampato sulle fronti degli abitanti. Non mi sono laureato, ma ci ha pensato la vita a farmi studiare senza sosta e la professione dell'agente di commercio mi ha accompagnato da subito dopo il congedo da marconista alpino. Sono ora in attesa di passare sulla sponda dei dipendenti statali per raggiunti limiti di sopportazione dei colleghi e per la gran voglia di dedicarmi a qualcosa che mi appassioni senza imposizioni di chicchessia.

Qual è, attualmente la definizione di sé stesso che preferisce?
Mi dovrebbero definire coloro che mi conoscono. Difficile azzeccare una definizione, se si è protagonisti di sé stessi. Mi concedo un atteggiamento “curioso” (nel senso della voglia di apprendere, non nel senso di stravagante, almeno spero), mai stanco di provare nuove idee ed avventure culturali. Confrontarmi, in una parola con persone e cose.
 
Entriamo in tema calcistico. Quale è la sua squadra del cuore?
La Juventus, una conditio sine qua non. Una connotazione della mia persona, senza la quale non sarei più colui che sono, giusto o sbagliato che sia.
 
Quale è stato il suo stato d'animo quando il torinese Marco Piano, il capitano di questa nuova squadra nata per motivi letterari e benefici, le ha parlato di questo progetto? Come ha reagito alla convocazione in questa speciale nazionale di scrittori? Quali sono i motivi che fanno di Juventus - Varese la sua personalissima “partita della vita”?
Ci conosciamo da tempo, Marco ed io, per una sorta di combinazione “logistica” tra la cognata sua e la moglie mia, compagne di infanzia. Ero al corrente che scrivesse di calcio, sotto un taglio oserei dire nostalgico di un tempo che fu, come un Eldorado perduto nella notte dei tempi. Poiché anche lui sapeva delle mie attività “giornalistiche”, mi ha parlato del progetto e mi ha invitato a farne parte. La mia risposta di primo acchito è stata fortemente negativa, principalmente per una mia idiosincrasia nei confronti del “voltarsi indietro”, questione di forti torcicolli come conseguenza. Poiché Marco non ha chiuso a possibilità di ripensamento, quando meno me lo sarei aspettato, sono stato folgorato da alcuni pensieri verso particolari esperienze infantili, dopo una bella chiacchierata in famiglia a proposito di vacanze e colonie negli anni '60 del secolo scorso. Ho richiamato Marco e mi sono accodato per il rotto della cuffia.  La partita che cito è Juventus – Varese di inizio annata 1967/68, con la squadra bianconera scudettata. È la prima partita a cui partecipo da “grande”. Con la mia radio a transistor attaccata all'orecchio, atterrato alle medie e non più presente nel novero dei “mignìn”, inserito da mascotte in un gruppo di amici, ma senza dover patire la figura del “gagno”, del piccolo pestifero di turno. Da quella partita mi conquisto la “libera uscita” se accompagnato, ma libero di esserci.
 
Visto che la Gazzetta è l’organo di informazione ufficiale delle Edizioni Hogwords, ed ha lettori molto interessati al rapporto che si instaura tra i personaggi intervistati e le loro opere, entriamo a gamba tesa nella sua storia personale: ha mai pubblicato, a suo nome o in collaborazione con altri autori, dei libri? Oltre a elencarci titoli e argomenti trattati ci può dire quali sono state le sue sensazioni a vedere stampate le sue parole, le sue idee, sulla carta?
Ho scritto centinaia di articoli per testate online quali SpazioJ o ilBianconero.com; ho la firma fissa su JUVETORO, distribuito alla Stadium; ho curato un blog per alcuni anni, ospitando giornalisti e tifosi, dando soprattutto spazio all'elemento femminile sempre più presente negli stadi. Frequento da anni gli studi televisivi di Rete7, Videogruppo e Quartarete, nonché di G.R.P. (in questa TV sono chiamato anche per argomenti che riguardano le eccellenze del nostro Piemonte). Nonostante l'abitudine a scrivere ed a vedersi pubblicati i propri “sforzi”, c'è sempre una sorta di emozione di richiamo verso il proprio nome e cognome scritti a piè di articoli o di racconti. È una sensazione che annulla qualsiasi crisi di identità e proclama che non si ha paura di esporre le proprie idee ed i propri convincimenti. È un inno alla libertà o se vogliamo una cambiale in bianco firmata nella speranza dell'affermazione di essa libertà. Ora pare che il desiderio di vedere raccolte le mie ormai inesorabili pagelle in un libro che sia il loro compendio stia per realizzarsi e che, senza ombra di dubbio, “La schedina vincente” abbia agito da catalizzatore. Si va a realizzare una raccolta di una selezione delle espressioni più riuscite, maggiormente divertenti e sdrammatizzanti, volutamente distanti dal freddo e tecnico linguaggio degli studiosi di tattica e di strategia. Non è certo il tentativo di coprire eventuali magagne conoscitive di analisi calcistica ma è la scelta lucida di voler superare il mero giudizio giornalistico, per sfociare, mi si perdoni l’atto di somma superbia, nella letteratura. L’attenzione di questa opera che si intitolerà "Zero in Condotta" è concentrata alle prestazioni dei calciatori che compongono le rose annuali della Juventus. Limitandomi soltanto alle maglie bianconere, nel volgere di tre stagioni, il numero dei singoli voti dedicati a ciascun giocatore sfiora le cinquemila unità: un’enormità. Non avrebbe avuto senso alcuno catalogare una siffatta mole di giudizi e di voti, ad eccezione di scopi statistici, che esulano nettamente dal mio intento. Con la ferrea guida dell’editore mi sono incanalato sul sentiero dell’autovalutazione, fino a distillare i momenti più significativi dell'avventura, accompagnati da un paio di racconti inediti e varie immagini fotografiche e caricaturali. La proposta editoriale, come ho già accennato,
si presenterà con un titolo “programmatico”: "Zero in condotta". All'interno troverete l’altra faccia della persona tranquilla che si trasforma allo stadio o, in questi giorni di assenza forzata dai campi di gioco, davanti al televisore. Siamo in dirittura di arrivo e con tutta franchezza non vedo l’ora di poter toccare con mano il sogno di una vita (non me ne vogliano i compagni di avventura della “schedina”) e di poter leggere il mio nome sotto il titolo del libro, trattenendo ovviamente il respiro. Massima gratitudine a chi mi ha sostenuto, dall’editore in “pole position”, al prefattore Mario Bruno, alla gentilissima Marita Ballesio, ai vignettisti ed ai fotografi ed a tutti coloro che, con la loro costanza e curiosità, hanno reso dapprima credibile e poi alimentabile l’esercizio di “pagellatore”. Per giusti motivi scaramantici, non ho rivelato nulla a nessuno, inteso?  

I suoi cari come si sentono ad avere uno scrittore, un giornalista, un personaggio che è o che diventerà famoso che gira per casa?
Chi? Famoso io? Ma va là…Giriamo per casa con i piedi ben piantati per terra.

Si sente di dare qualche consiglio ai giovani che si apprestano a leggere il libro “La schedina vincente”? Ha qualche raccomandazione o invito da fare alle lettrici ed ai lettori?
Siamo 13 persone con le proprie peculiarità e la propria maniera di esprimersi. Suggerisco di farsi trasportare dal vortice delle descrizioni di ricordi veri, spaccati di una società che non è più e che aveva così tante sfaccettature da poter essere quasi fotografata da “spiriti” a volte diametralmente opposti in fatto di sensazioni e sentimenti. Non c'è monotonia ed è questo già un bel vantaggio.

Ci parli del futuro. Sta scrivendo, pensando o organizzando cose nuove?
Ho un progetto di raccolta di alcune mie “fatiche” in un libro organico e riassuntivo, appena mi capita la fortuna di trovare un editore che dimostra una giusta dose di lucida follia per concepire un'idea che ha pochi riscontri. La strada vecchia da percorrere è comunque quella della TV e degli articoli.
 
Per finire ci racconti di questo periodo tremendo del virus. Ha avuto esperienze particolari, paure, tristezze o gioie inaspettate da raccontare? Cosa rimarrà nel suo cuore dei lunghi giorni passati in quarantena? Con quali speranze e desideri l’uomo Marco Sanfelici si appresta al ritorno della vita normale, se mai la vita ritornerà normale?
Siamo entrati nell'isolamento (mi sia concesso usare in pieno la terminologia della nostra bella lingua in contrapposizione agli inglesismi che la deturpano e la depauperano) quasi senza accorgercene, con l'ingenuità di chi cantava l'inno di Mameli dai balconi, tra arcobaleni disegnati e ricerche di mascherine introvabili. Abbiamo presto compreso che ci stava toccando di fare esperienza di un fatto epocale dal quale non ci saremmo liberati se non a caro prezzo ed un forte condizionamento nell'anima. Ho avuto la grande fortuna di continuare a lavorare da casa, seguendo la clientela, con alle spalle un'azienda che non si è mai fermata. Questo ha attenuato il senso di sgomento per giornate tutte uguali, tra le quali si faceva fatica a distinguere la domenica dal lunedì. Non saremo mai più come prima, come è successo ai nostri genitori dopo la guerra o dopo magari un forzato commiato dalle proprie radici per dover emigrare in cerca di lavoro. Chi saremo? Come si tornerà ad una parvenza di vita più simile alla precedente? Sono domande le cui risposte, per dirla alla Bob Dylan, soffiano nel vento. Mi conforta il fatto che l'essere umano è il risultato di millenni di trasformazioni e di adattamenti: non sarà una pandemia a bloccare il flusso dell'evoluzione.

Claudio Calzoni

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