Incontro con Stefania Lucrezia FiorelliSul finire di una splendida mattinata dell’inverno torinese, in uno dei pochi attimi consentiti dalle rigide regole imposte dalla pandemia, incontro la scrittrice Stefania Lucrezia Fiorelli. Il sole, tiepido, scalda la Piazza Vittorio Veneto e illumina lo splendido panorama collinare e la Chiesa della Gran Madre. Sono particolarmente felice di poter presentare la dottoressa alle nostre lettrici ed ai lettori, vista la sua esperienza nel campo della scrittura come autrice e come gosthwriter, e vista la recente pubblicazione di un suo nuovo libro “Maestra fa rima con minestra” in cui analizza con sensibilità ed ironia i suoi anni di insegnamento.
Evitando le ombre gelide, passeggiando sulle rive del fiume, sgranocchiando alcune caldarroste raccolgo le parole e le piccole confidenze della scrittrice e della maestra, e le risposte alle domande di questa bella e sincera intervista. Conosciamoci meglio, chi è Stefania Lucrezia Fiorelli? Ci disegni il suo autoritratto. Sono una persona molto curiosa ed innamorata della vita. Una di quelle che si sforza di vedere il bicchiere sempre mezzo pieno e che cerca di trovare il buono nelle persone. Penso che essere arrabbiati e di cattivo umore, sia una gran perdita di tempo. Le giornate storte le ho pure io, ovvio, ma alla fine trovo sempre un modo per voltare pagina. Vivo con Luciano che fa il musicista e la musica, oltre alla scrittura, è una delle mie più grandi passioni. Canto in un coro rock, mi diverto, mi fa stare bene. Qual è, attualmente la definizione di sé stessa che preferisce? La definizione che preferisco di me è quella che mi ripete sempre mia madre "Sei un libro aperto", nel senso che non so fingere e ciò che sento o provo verso qualcuno o qualcosa, inevitabilmente, salta sempre fuori. Potrebbe sembrare una gran fregatura, forse un po' di mistero non guasterebbe, ma io preferisco comunque giocare pulito e, nel bene o nel male, dire ciò che penso, alla fine, mi rende più leggera. Come è nata la sua passione per la scrittura? Ci può raccontare qualcosa del suo ultimo libro “Maestra fa rima con minestra”? La mia passione per la lettura e per la scrittura nasce dall'infanzia. Ho imparato a leggere a cinque anni e non ho mai più smesso. A sei scrivevo piccole storielle dicendo a tutti che facevo la scrittrice... Scrivere mi rasserena, una parola dopo l'altra, io riesco sempre a trovare la pace. Scrivere per me è una sorta di riequilibratore umorale: mi rende felice, mi gratifica. Insegno Italiano e faccio la ghostwriter fin dai tempi dell'Università e quindi scrivo pure per gli altri, oltre che per me. Con le parole ci vivo quotidianamente e, fino ad ora, il rapporto che ho con loro è sempre stato gratificante e non mi ha mai delusa. "Maestra fa rima con minestra" nasce in un momento di crisi personale nei confronti della mia professione di insegnante. Avevo bisogno di puntualizzare alcuni aspetti del mio lavoro, così tanto bistrattato e così pieno di luoghi comuni. Il libro è un'analisi disincantata sul mestiere dell'insegnante ed ha lo scopo di restituire soprattutto dignità sociale e prestigio ad una professione che ritengo essere meravigliosa. Il rapporto con i bambini, con i ragazzi, può essere un'esperienza intensa; lavorare con del potenziale umano, lo ritengo un grande privilegio. Ci parli del suo rapporto con le innovazioni riguardanti i mezzi d’informazione e la rete. Quali pensa siano i pregi e gli eventuali difetti della applicazione della Didattica a Distanza per gli allievi delle scuole, e come crede che i bambini ed il personale docente possano superare questo momento di incertezza, di tensione e di distanziamento sociale? Io, ridendo, dico sempre di essere un po' "tecnolesa", ovvero, tutto ciò che riguarda i mezzi d'informazione e la rete da un lato mi affascina, riconoscendone le immense opportunità, ma dall'altra mi spaventa. Sono una di quelle che si applica, ma che la trova dura se subentrano degli intoppi tecnologici e, degli intoppi, ahimè, capitano sempre... In un momento così tanto difficile come quello attuale causato dalla pandemia in corso, la Didattica a Distanza, ha rappresentato e rappresenta un'ottima risorsa per continuare a fare scuola. Anche una persona restia come me a buttarsi in rete ha dovuto specializzarsi dall'oggi al domani per cercare di offrire ai propri alunni contenuti accattivanti e coinvolgenti che potessero sopperire alle lezioni in classe. Si tratta, però, di una didattica di emergenza, con un sacco di limiti umani e, le emergenze, tocca che finiscano prima o poi, perché la scuola è fatta soprattutto di presenze, di socializzazione, di emotività condivisa. Si impara guardandosi negli occhi, vivendo a contatto con gli alunni giorno per giorno. Io ho svolto la DAD solo nel periodo del “lockdown” più duro, poi, il mio ordine di scuola (io insegno in una Scuola Primaria), ha sempre svolto lezioni in presenza e devo dire che i miei bambini, una volta tornati in classe, sono rifioriti e guardano con orrore all'idea di dover stare nuovamente lontani dai propri compagni e dalle proprie maestre. E' molto difficile con la didattica a distanza riuscire a conservare il senso di appartenenza, la partecipazione, l'empatia, l'amicizia... tutte quelle preziosissime interazioni che caratterizzano la vita in presenza, a scuola. Entriamo nel personale. Quali sono state le sue emozioni a tenere, per la prima volta il suo nuovo libro fra le mani? Tenere in mano il mio libro è stato come ricevere un abbraccio da chi ti vuole molto bene. Sono stata molto contenta, ogni tanto lo sfoglio e comunque gli ho trovato un ottimo posto sulla mia libreria accanto ad un libro di Hemingway e ad un altro di Pirandello, così, giusto per ricordargli che è prezioso, almeno per me. Oltre alla “Maestra” ha pubblicato altri libri e con quali editori? Ho pubblicato un altro testo insieme al giornalista Rai Stefano Tallia, "Una mattina ci hanno svegliati", edito dalla Lupieri Editore. I suoi cari come si sentono ad avere una scrittrice, una celebrità, in casa? La mia famiglia è una famiglia poco cerimoniosa, una di quelle che mi hanno cresciuta a botte di "... hai fatto solo il tuo dovere...". Sono di certo contenti della pubblicazione di questo mio libro, ma essendo poco espansivi, non mi hanno omaggiato di particolari complimenti o altro. Sono fieri di me, ma molto riservati nel farmelo capire. Il mio compagno è felice, lo è per tutto ciò che mi gratifica e fa sempre il tifo per me. Quali sono, se può dirlo, i suoi rapporti con le case editrici con cui collabora? Il mio Editore è una persona assolutamente carina, al di là dell'indubbia professionalità, è un grande appassionato del suo lavoro, uno che ci crede veramente e che fa sentire speciale ogni scrittore che pubblica il suo lavoro con lui. Sono molto fortunata. Si sente di dare qualche consiglio ai lettori ed ai giovani che vorrebbero intraprendere una carriera nel mondo scolastico, o nella pedagogia in generale? Ai giovani che desiderano intraprendere una carriera nel mondo scolastico dico sempre di pensarci bene. Fare l'insegnante non è un mestiere facile, non è ben pagato e la fatica mentale che richiede, al di là di quella fisica, è tanta, talvolta troppa. Però, dico anche che lavorare con i bambini, con i ragazzi, è un gran privilegio che ti permette di vivere delle esperienze straordinarie, fatte di emozioni condivise proiettate verso il futuro. Lavorare con i ragazzi, oggi, ti permette di vedere in prospettiva gli adulti del domani e cercare di renderli persone migliori è un'impresa non facile, ma per un'inguaribile ottimista come me, anche una sfida emozionante piena di speranza. Il mondo può essere cambiato in meglio con piccole mosse e se queste arrivano da parte di un insegnate preparato, attento e motivato, possono diventare davvero delle piccole-grandi mosse positive. Piccola digressione calcistica. Nelle sue classi ci sono ancora bambini o ragazzi che tifano per il Toro? Quanto è triste assistere al progressivo allontanamento delle giovani generazioni dai colori e dai valori della squadra granata? Quanto può essere deprimente osservare inerti la dispersione di tanta storia e orgoglio calcistico e sociale a favore dell’omologazione e del culto “del vincente a tutti i costi”? Nelle mie classi ho sempre avuto pochissimi bambini del Toro, ma a questi ho sempre riservato dei piccoli privilegi perché, come amo ripetere, io sto sempre d'istinto e per indole con le minoranze. Ci scherziamo su questa cosa, ma quello che cerco di fare capire ai miei bambini è che la passione per una squadra di calcio va al di là delle vittorie, è una cosa profonda che percepisci dentro, al di là dei risultati. Io sono di fede granata da sempre. Essere del Toro vuol dire saper amare incondizionatamente e soffrire. Vuol dire lottare, crederci sempre e comunque. Il Toro è passione pura e chi riesce a provare questi sentimenti, per me, è una persona più ricca. Ci parli del futuro. Sta scrivendo, pensando o organizzando cose nuove? Sto già lavorando ad un nuovo progetto personale e, intanto, da brava "fantasma" continuo contemporaneamente a scrivere per altri. Il prossimo libro sarà un romanzo che avevo iniziato tempo fa e poi riposto nel cassetto. Ora è arrivato il momento di riprenderlo in mano e di vedere dove mi condurrà. Per finire ci racconti di questo periodo tremendo del virus. Ha avuto esperienze particolari, vissuto paure, tristezze o gioie inaspettate da raccontare ai nostri lettori? Cosa rimarrà nel suo cuore dei lunghi giorni passati in quarantena e di questi mesi, segnati dall’incertezza? Con quali speranze e desideri la donna Stefania Lucrezia si appresta al ritorno della vita normale, se mai si potrà chiamare normale la vita che ci attende? Questo periodo così triste e pesante da gestire mi ha toccato e mi tocca quotidianamente. Ho perso conoscenti ed amici, stroncati da un virus bastardo che non guarda in faccia nessuno. Altri si sono ammalati, ne sono usciti fortunatamente fuori bene, ma anche attraverso i loro racconti ho ben compreso la gravità della situazione. In questo periodo oscillo fra momenti di paura ad altri di speranza e di ottimismo. Sono stanca di una “non- vita”, fatta di limitazioni e di rinunce, ma cerco di tenere duro come tutti e di non perdere mai veramente la speranza di uscirne fuori al più presto. Certo è che in questo periodo più che mai, ho compreso che sono le cose normali ad essere quelle più speciali e che la vera differenza in positivo la fanno gli affetti più veri, l'amore che ti circonda, le persone, il legame che hai con loro. Posso dire di essere sopravvissuta al “lockdown” più duro proprio grazie ad una fitta rete di relazioni affettive con la mia famiglia e con i miei amici che, anche se a distanza, non è mai venuta meno e che mi ha sempre rincuorata. Spero di poter tornare presto alla normalità, di bruciare le mascherine che ci impediscono di cogliere i sorrisi, mi auguro di poter riassaporare presto la libertà negata dagli eventi. Vorrei tornare a viaggiare, desidero potermi riappropriare del mio tempo, facendo di tutto per poterlo rendere speciale e degno di essere vissuto. I raggi del sole stanno abbassandosi sull’orizzonte delle case del centro di Torino. Il Po, in alcuni tratti ancora gelato, scorre lento sotto il ponte. Attraversiamo i Murazzi e, tornando verso la piazza più bella d’Italia, ringrazio veramente di cuore la dottoressa per la cortesia e la gentilezza che ha dimostrato a me, ed ai nostri affezionati lettori, concedendo alla Gazzetta di Hogwords questa cordiale intervista. Buona lettura. Claudio Calzoni |