In Memoria di Franco Battiato. Piccola digressione del Direttore.Riflessioni in un giorno di luce, primavera inoltrata.
Franco Battiato è morto. Viva Franco Battiato. Fine anni 70, medioevo. Allora i dischi si comperavano per ascoltarli, non si rubava la musica con lo smartphone. I dischi, gli LP, li mettevi sul piatto e aspettavi che finisse la facciata, non potevi sentire tre secondi del primo e sei del secondo brano. I dischi, tutti, erano opere d'arte, nel senso che anche l'ultimo cantante aveva in studio un'orchestra di professionisti e non certo un emulatore di suoni. I dischi li compravi, li ascoltavi, li consumavi. Costavano, a seconda delle tasche, poco o tanto (per me era molto) ma li pagavi e li trattavi bene, scegliendoli con saggezza, in quelle cattedrali di sogni che erano i negozi di musica, con le chitarre appese al soffitto e tutti quegli album in ordine alfabetico, da sfogliare per ore, ogni giorno. Non li comperavi, quegli affari neri di plastica, per collezionarli ma per viverli. Non li guardavi solo, quei dischi, mangiavi le copertine, cercavi i particolari, il tratto nascosto, il riferimento culturale in questo o quel disegno. Non conoscevi davvero le facce degli artisti, perché le foto dei cantanti, dei gruppi che ti piacevano le potevi vedere solo su Ciao 2001, e basta. Nonostante tutto, quell'industria era fiorente e sempre alla ricerca di nuovi artisti, nuove proposte. Era un 'industria attiva, che investiva nell'arte (quanto è lontano quel periodo d'oro). Franco Battiato le aveva provate tutte per arrivare al successo, aveva fatto gavetta mille e mille anni. Voleva arrivare, era un artista e si sentiva tale. Dalla Sicilia va a Milano, incontra Gaber e si inventa cantautore di protesta, poi va al Disco per l'Estate con la melodia. Ma il fermento musicale del progressive (che allora non si chiamava così) lo colpisce. Si butta sulla musica elettronica e sulle atmosfere classicheggianti e innovative del prog. Ma non basta. Passa per la classica contemporanea. A 35 anni trova la sua nuova strada per il successo, definitivo. Dopo avere frequentato la musica leggera ha capito che qualcosa intorno a lui, a noi, stava cambiando, stava modificandosi definitivamente. Arrivava l'elettronica, cambiavano i ritmi, esplodeva la musica etnica, si evolvevano le atmosfere. Ha anticipato molti, ha ascoltato consigli e imparato. Ha capito il respiro del tempo di allora fatto di fretta, di Milano da bere, di rock annacquato e lo ha ribaltato, mettendosi di traverso, dando agli ascoltatori un nuovo, diverso, punto di vista. Ha capito e sfruttato l'ironia dei primi video, quei balletti surreali che ancora illuminano le notti e destabilizzano ancora se paragonati al delirio del resto. Ha, sapientemente, da buon maestro alchemico messo insieme musica evocativa, testi enigmatici il giusto, e riferimenti alle sue conoscenze, ai suoi tanti interessi. Ha condiviso la sua arte e saputo collaborare con tante belle teste, tra cantanti e musicisti, che hanno lavorato con lui. Lui che, nemmeno senza sforzarsi troppo, visto che non viveva la sua vita un piano alla volta, ha assunto quella pace, quella distanza, quell'altezza che ora tutti gli riconoscono. L'ho visto in concerto, un secolo fa, e sono stato felice di quell'esperienza, ora ho un ricordo in più nel cassetto. Ora che quei cassetti diventano tanti, e mi danno il senso reale del tempo che corre. Rimane la consapevolezza che la vecchiaia stia arrivando, veloce, portandosi dietro la falce, e le traiettorie dei nostri antichi e memorabili voli. Rimane la gioia d'aver vissuto notti intere con la sua musica in macchina in compagnia di quei gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming... La barba, col rasoio elettrico, non la faccio più... Claudio Calzoni |