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Intervista a Rafael Valente. Giornalista brasiliano tifoso e appassionato della storia del Toro.

La vita ci racconta bellissime storie. Ho incontrato per caso Rafael Valente. No. Per caso, no. La sua passione per la squadra granata e per la storia della compagine del Torino, che accomuna molti cuori nel mondo, è stata la ragione dell'incontro. Conosciuto il mio libro "I luoghi del Toro" e le mie infiltrazioni particolari nel mondo granata, Rafael, attraverso l'intercessione benevola di Paola Alessandra Travaglio e del Presidente dell'Associazione Piemontesi nel Mondo, sezione di San Paolo del Brasile, il signor Giovanni Manassero, è riuscito a contattarmi. Naturalmente è nata, subito, una cara amicizia, fatta di tifo, passione per il calcio e amore per il giornalismo e la narrazione. Ho pensato che ai nostri lettori potesse far piacere ascoltare una voce lontana, una testimonianza particolare e aggiornatissima da un paese, il Brasile, colpito in modo gravissimo dalla pandemia. Per gli appassionati di calcio, poi, la possibilità di sentire raccontare l'incontro di Rafael con Pelé, certamente, è un bonus da non perdere. Virtualmente ho incontrato il giovane e simpaticissimo giornalista sulle gradinate dello stadio del Santos, anche se entrambi avremmo preferito sederci su quelle vecchie, fatte di legno, dello stadio Filadelfia, ora demolito e ricostruito come un anonimo campetto di periferia.
Ecco il testo dell'intervista.  

Carissimo, puoi dire ai nostri lettori chi sei? Se vuoi, raccontaci della tua vita, delle tue esperienze, del tuo paese e delle tue passioni.

Sono brasiliano e giornalista di Sport. Sono anche giovane. Ho 34 anni (saranno 35 dal 26 agosto) e abito e lavoro a São Paulo, la città più importante del Brasile dal punto di vista commerciale, economico e finanziario. Sono giornalista di “ESPN Brasil”. Non sono sposato né ho figli. Mi sono appassionato di quel che faccio, del giornalismo e di tutte le sue possibilità, specialmente nel campo dello Sport. Ho provato moltissime esperienze. Posso affermare che i miei più grandi aneddoti riguardano le interviste al Re del calcio, Pelé, alcune volte, il lavoro nella Coppa del Mondo in Brasile e, più recentemente, attraversando il Brasile in autobus per accompagnare i tifosi del Flamengo fino a Lima (Perù) per la finale della Copa Libertadores. Sono anche appassionato del mio Paese, dei viaggi e tifoso della squadra del Torino. Quella granata è veramente una passione, una malattia difficile da spiegare.
 
So che sei tifoso del Toro e che sei particolarmente legato e interessato alla storia della squadra. So che stai lavorando al progetto di un documentario, di un film, sulla storia dei granata e sul destino che lega questi colori sociali al lutto della disgrazia di Superga quando, il 4 maggio del 1949 l'aereo che trasportava giocatori e dirigenti della compagine si schiantò sulla collina, dietro alla Basilica. Puoi parlarci anche di questo tuo importante lavoro e della passione, il tifo, che ti lega alla squadra del Toro?
Come ho detto, questa passione è veramente difficile da spiegare. Sono lontano dal Toro, geograficamente parlando, ma mi sento lo stesso vicino. Mi piace molto parlare del Toro, pensare al Toro, conoscere di più la sua storia, guardar le foto attuali e dell'epoca passata, i video... Una volta, su internet, ho guardato la fotografia di una bandiera con l’iscrizione: ‘Se fossimo tifosi normali, non saremmo tifosi del Toro’. Credo sia la verità assoluta su questo tifo. Perché anche questo club non è normale. La sua è una storia di tragedia e speranza. Manca la vittoria dello Scudetto da mettere in bacheca da più da 40 anni. Il Derby è sempre più ingiusto con noi. E dopo una stagione come questa la disillusione è grande ma nostro tifo è fedelissimo. Anch'io mi sento così. Anche se la fase non è buona, voglio ancor più bene al Toro. Da lontano, sento che nel Torino c’è un spirito proprio, un’anima. Ho moltissimi amici a Torino. Gente dentro alla squadra, che lavora nel giornalismo, che è in Curva Maratona, oltre alla Curva Primavera, gente del “Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata”. È una grande gioia essere del Toro. E' un peccato per noi che i risultati non arrivino nella stessa proporzione del nostro amore.
Allora, parlando del mio progetto, vi dico che è un documentario molto particolare. Ho fatto tutto da solo. Sono andato a Torino l’anno scorso, durante le mie vacanze dal lavoro, per fare il mio omaggio al Grande Torino. È stata la mia prima volta a Torino nel giorno del 4 maggio (ma la terza volta nella città; prima a settembre 2014 e poi ottobre 2016). L’emozione di andare in  città nella settimana sacra (per i tifosi del Toro) è stata una della più belle cose che ho fatto nella mia vita. Quando ero lì, ho deciso di registrare quello che stavo guardando per un documentario. Non sapevo come ma una cosa mi era chiara. L’obbiettivo non era raccontare la storia del Grande Torino. Credo che ci siano libri, film e tante altre meravigliose iniziative in Italia che io già conosco e che non era possibile per me, da solo, con poche risorse, fare qualcosa di paragonabile e degno per raccontare tutta una Storia con la "S" maiuscola. Per questo ho pensato a un lavoro che potrebbe valorizzare il mio sguardo particolare sul Toro. Parliamo di una squadra con tutte le avventure e le disgrazie che ne hanno segnato il destino e che viene da 71 anni di lutto. E cosi ho iniziato a parlare con la gente granata per sapere che cosa significa per ogni persona "essere del Toro" e come ci si sente legati a Superga. Ho parlato con tifosi, il giornalista Emanuele Gamba (La Repubblica), con Domenico Beccaria del Museo del Grande Toro e della Leggenda Granata, con Stefano Venneri (speaker del Toro) e con padre Mario Azzario (Superga). Ho una cronaca che mostra quanto il Torino trascenda il calcio per la sua gente. Senza fare “spoiler”, posso dire che sarà un lavoro giusto e sensibile. In questo momento il documentario è in fase di edizione (credo che fra alcune settimane avrò il primo taglio). Ho un amico sta mi aiutando perché, come dice lui, è un lavoro molto particolare, ed è senza risorse. Ancora sto cercando cose per aiutare a migliorare questo progetto. Per esempio, sto cercando foto della città di Torino negli anni '40, durante il pre e post guerra mondiale. Sto cercando qualcuno che abbia delle immagini di quel periodo e possa concedermi il loro uso gratuito. Il documentario sarà mostrato ai festival in Brasile e possibilmente a Torino. Ho molti amici che cercano di aiutarmi ma le foto sono difficili da trovare...
 
La tua perfetta padronanza di linguaggio ci fa pensare a tue eventuali origini italiane..
Ti ringrazio ma ho ancora tanto da imparare. Posso dire che so come esprimermi in italiano perché è una lingua bellissima. Allora, la cosa più curiosa di questa mia storia è che non sono italiano, nè figlio di famiglia italiana. Il mio nome è Rafael e il mio cognome completo é Valente Pedroso de Siqueira: 100% portuguese. Un’eredità portata dagli antenati che mai ho conosciuto…
Altra informazione curiosa. Ho studiato italiano un anno a São Paulo. La scuola era dentro un piccolo club calcistico chiamato Juventus, una squadra con maglia granata. Credo che oggi, con internet, sia più facile trovare informazioni su questo club ma per chi non lo conosce la storia dice che la squadra (nata nel 1924) ha adottato il nome Juventus perché un figlio del Presidente (italiano) era tifoso della Juventus e il colore granata delle maglie è stato adottato perché l’altro figlio era del Torino. Io ho cercato di studiare per imparare l’italiano proprio in ragione del Toro. In quel momento avevo 21/22 anni. Volevo capire più cose della storia del Toro, leggere le notizie della squadra...
 
Il tuo lavoro di giornalista sportivo ti porta sicuramente e spesso a contatto con persone e storie importanti e particolari. Hai qualcosa di bello e di speciale da raccontare ai nostri lettori?
Per un giornalista di Sport credo che il grande momento sia di poter lavorare al Mondiale o ai Giochi Olimpici. Ho lavorato durante il Mondiale in Brasile, nel 2014, ma la mia occasione è arrivata un anno prima. Io lavoravo per il giornale “Folha de S.Paulo”, uno dei principali del Brasile, e in quel momento ero responsabile per le news del Santos FC. (la squadra di Neymar). In novembre del 2013 ho raggiunto un'impresa. Nell’occasione del 50º compleanno del trofeo Mondiale del Santos del 1963 ho cercato di riunire gli ex-giocatori di quel trofeo. Sono state lunghissime settimane di lavoro ma dopo tutto è andato bene. Bene? No, benissimo. Perché Pelé ha accettato il mio invito. È difficile parlare con lui e per me quella è stata la prima volta. Lo considero un giorno magico, indimenticabile. La squadra del Santos con Pelé, ha vinto tutto nel calcio nel anni '60.
 
In Italia, ancor prima dell'arrivo del Virus, il mondo della Cultura stava soffrendo una crisi fortissima. Anche nel vostro immenso paese è accaduta la stessa cosa?
Sì. È una tristezza. Fino a questo mercoledì sono 90.188 i morti e 2.555.518 gl'infetti in Brasile. Ho perso un cugino di 48 anni e molti altri. Lavoro in casa dal 18 marzo perché a Sao Paulo la situazione è particolarmente complicata: 22.389 morti e 514.197 infetti.
 
Arrivano notizie tremende su come il virus stia colpendo il Sud America dopo aver fatto danni irreparabili in Europa e soprattutto in certe regioni italiane. Qual è stato l'impatto con l'economia, la salute e la vita quotidiana di questa pandemia nel vostro Paese? Vedi speranze all'orizzonte o il periodo buio continuerà ancora molto? 
Ci sono molti morti, malati e disoccupati. Molte aziende hanno chiuso. L'impatto economico è forte, sebbene gli esperti affermino che stiamo ancora avvertendo soltanto l'inizio dell'effetto. Metti tutto insieme in un Paese “continentale” come il Brasile, con molti problemi sociali da risolvere ed è possibile avere un'idea delle dimensioni del problema. Il Brasile ha anche affrontato una grave crisi politica negli ultimi anni, con corruzione e mancanza di trasparenza, anche tra i politici attuali.
 
Porgo queste domande a tutti gli amici che intervisto. Quale consiglio daresti a un  giovane amico che volesse intraprendere la tua professione?
Hum… Difficile dire che cosa può fare un buon giornalista. Anche io sto cercando questa risposta.
Ha ha ha... ma credo che ci siano alcune regole importanti per essere un giornalista corretto nell’esercizio della professione: conoscenza, impegno per la verità, etica, umanità, sensibilità e curiosità.
 
Quale speranza hai nel cuore per il tuo futuro e per quello del mondo?
Per me spero di avere energia per proseguire la carriera di giornalista e poter fare la differenza con miei articoli, migliorare e arrivare il più in alto possibile come ho visto fare a tanti i colleghi che ammiro. Nel mio modo di vedere, il giornalismo è anche un modo di render il mondo migliore ma è vero che ci vuole la salute per proseguire nel mio sogno, come per seguire il Toro!!!
Per il futuro del mondo sto sempre chiedendo e sperando pace, armonia e giustizia. È triste sapere che ancora nel 2020 ci sono tante persone senzatetto, senza mangiare, senza accesso alle minime condizioni igieniche e di salute, senza accesso alla scuola. Tutto ciò dovrebbe darci fastidio.
 
Un incontro speciale, di quelli che lasciano il segno. Sono particolarmente contento di aver conosciuto Rafael e mostrato ai nostri lettori. Ringrazio molto il giovane giornalista per aver concesso questa intervista al nostro web-zine. Pensare al resto del mondo, alla vita al di fuori del nostro piccolo recinto può renderci migliori; insegnare cose nuove, affrontare la vita da altri punti di vista; farci sorridere e insegnarci a continuare a impegnarci al massimo nelle nostre professioni, a seguire le nostre passioni e i nostri sogni, proprio come fa Rafael, così lontano e così vicino a noi.
Grazie ancora, carissimo, e, mi scusino i tifosi di tutte le altre squadre, sempre Forza Toro!!!  

                                           Claudio Calzoni

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