Claudio Calzoni. Il Direttore...
Ho conosciuto Claudio in una delle sue tante vite precedenti e, come quando si ascolta il Peer Gynt di Edvard Grieg, mi sono sentito scandagliare l'animo da una persona buona, poliedrica, solare, disperatamente attaccata a ogni rapporto umano. All'epoca non era ancora un Autore della nostra Casa Editrice e si interessava al nostro settore comunicativo e ludico. Ricordo ancora una mitica Cena con delitto organizzata in un suo locale in cui il livello di ilarità e divertimento era tale che quando mia moglie scivolò su una passerella di metallo, resa viscida dalla pioggia, e cascò per terra fu la prima a riderci sopra. Si rialzò piegandosi in due non per il dolore ma per le risate che non riusciva né intendeva trattenere. Io e Claudio ci siamo precipitati sulla scena ma per fortuna l'accaduto aveva lasciato strascichi solo per i posteri e non intaccato la salute della mia Gabriella. In quello stesso periodo nacque un libro di racconti che pubblicammo. Passò diverso tempo prima che ci reincontrassimo ma il destino aveva dei disegni tutti suoi per noi. Quando accadde, la stima e il rispetto reciproco erano rimasti intatti e Claudio pubblicò questa volta un romanzo. Il Peer Gynt stupisce con la sua musicalità, tuttavia, anche proprio per le tante variazioni. Se il nostro rapporto era iniziato con "Il mattino" ora si stava evolvendo "Nell'antro del Re della montagna". Fu in quella occasione che gli chiesi se intendeva reinventarsi quale Incanto Patronum de La Gazzetta di Hogwords. Come sanno i lettori, lui rispose di sì. Intervistarlo ora è un piacere nonché un dovuto riconoscimento a un grand'uomo cui la vita ha, per ora, regalato molto meno di quanto ha saputo meritarsi. Lo farà prossimamente. Ne sono sicuro. Lo incontro virtualmente mentre ascoltiamo Grieg e vedo che gli occhi gli si inumidiscono un po'...
Chi è Claudio Calzoni?
Non lo so più da tempo. Sono stato un folle, credo, un sognatore, un illuso e un deluso, un disperato. Ho cercato, nella mia vita, ormai fin troppo lunga, di riempire al massimo le mie ore. Ho lottato contro il tempo cercando di dare il meglio agli altri, spesso sacrificando la mia volontà ma mai la mia ambizione. Devo tanto alla mia famiglia, ai miei genitori, ai miei nonni e alla scuola. Tra i tredici e i quattordici anni, mentre scoprivo la forza della musica, la bellezza delle storie di fantascienza, il mistero della storia del mondo, delle religioni e delle antiche civiltà, per emulazione e voglia di immergermi nell’Arte (intesa anche come vero e proprio artigianato) mi sono anche inventato Poeta. Certo nulla sarebbe successo se non avessi avuto le occasioni e le amicizie dell’infanzia e della scuola, l’impeto meraviglioso della condivisione di letture, esperienze e avventure che, in fondo, mi hanno spinto a diventare quello che credo d’essere ora. Ho condiviso la vita con compagni di cammino eccezionali, come il Professor Davide Ghezzo, compagno di classe dall’asilo alla fine della terza media e poi compagno di corso all’Università di Lettere e ancora adesso amico inseparabile. Potrei citare altri nomi come Rosario Farina, Antonio Antonicchio, Beppe Provero, Luca Cipriano che fin dall’infanzia frequentavano l’aiuola di Piazza Rivoli che era il campo di gioco e la scuola principale della mia giovinezza. Poi tutti i compagni di classe nelle medie e nelle superiori, gente meravigliosa (Marco Cordero, Mauro Migliorero, Claudio Ciccio Negro, Massimo Morello, il mai troppo compianto Maurizio Cremilli) che mi sopportava e mi spronava a far sempre meglio. Come i Professori che ricordo tutti con immenso piacere. Le vacanze a Salice d’Ulzio, la chitarra, la fortuna d’avere il Bravo, motorino che mi ha permesso di arrivare su quasi tutte le cime della Val di Susa, poi raggiunte con le moto da Trial. La gioia di poter condividere quei giorni con amici veri, come Claudio Bussi. Delle ragazze, per motivi di privacy non faccio i nomi, ma quanto sono stati importanti quelle sofferenze del cuore, quegli sguardi, quelle emozioni. La sofferta maturità, io spavaldo che da perito meccanico faccio il tema classico, nove pagine sui Poeti Montale, Ungaretti e Quasimodo. Il membro esterno che decide di leggere quattro righe e poi mettere una linea rossa su tutto: TRE di tema all’esame in cui sono stato presentato con il nove d’italiano. Una ferita non rimarginata, ma che mi ha costretto a presentarmi all’orale con una grinta mostruosa. Tanto che giurai al professore, durante il colloquio, che il mio primo libro l’avrei dedicato a lui… naturalmente non presi nemmeno nota del suo nome ma il libro l’ho scritto venti anni dopo. Poi, di filata, passato un mese dalla maturità, il militare, gli alpini, Merano, la caserma Monte Grappa, i campi invernali nella neve di Buosson, la mia Jeep e la broncopolmonite di maggio, l’ospedale e le centinaia di iniezioni. Da militare mi sono iscritto finalmente all’Università. Con Ghezzo a Lettere Moderne, innamorato perso e, ormai, Poeta Maledetto a tutto tondo, con centinaia di pagine piene di versi, canzoni, racconti e opere rock. La vita, tuttavia, improvvisamente cambia. Devo cominciare a pensare al lavoro, mio padre ha una officina di elettrauto a Santa Rita. Ho passato le vacanze, anche quelle natalizie, dai dodici anni ai venti, a portar batterie ai clienti, far ripartire macchine ferme nella neve, a lavar motorini nella nafta e non mi sono mai divertito. Dovevo lavorare e sono andato da un amico mobiliere. Ho incominciato a portar mobili su e giù per le scale e mi sono trasformato in Ragioniere quando c'erano i preventivi da fare senza prender un soldo. Ho imparato. A quell'epoca contava ancora qualcosa.
Nell’80 è capitata una strana occasione. In famiglia abbiamo deciso di fare una pazzia. Sono diventato imprenditore. Ho aperto un negozio di elettrodomestici. San Valentino, era il 1981, non avevo ancora compiuto 22 anni. Il negozio, che ho chiuso due anni fa, mostra che il Poeta maledetto era diventato un ragazzo super impegnato a lavorare. Da allora non ho contato le ore passate a sudare, le notti a scrivere. Ho tenuto la contabilità mentre sono uscito con le ragazze. Di giorno, dalle otto alle venti ho lavorato come un mulo. Sempre. Ho conosciuto tutta Torino, vissuto come in un sogno, continuo. Felice d’essere utile ai clienti, sempre pronto a nuove esperienze commerciali e umane. Ho viaggiato, con le aziende, girato tutto il mondo, potuto sposarmi, a trent’anni nell’89. I figli sono arrivati tardi, nel 1998 Alessandro, nel 2004 Francesca e forse proprio per questo li amo ancor di più. Lo Stato ha incominciato a prender di mira le piccole e medie imprese (la storia è comune a tante realtà come la mia). La lotta diventa pesante. Ho iniziato a pubblicare libri con il mio nome. Non per merito mio, certo. Ho avuto la fortuna di conoscere amici che mi hanno fatto questo onore, come Massimo Centini, che non ringrazierò mai abbastanza, Laura Rangoni, Luigi Di Cesare e naturalmente Pier Giorgio Tomatis. Nel 2006 ho aperto anche una pizzeria, nella speranza del futuro, per differenziare le attività. Si è trattato di una bellissima esperienza. Ho visto la gioia impressa negli occhi dei clienti che mangiavano ma era durissimo restare sul mercato. I giorni sono diventati eterni, le ore veloci. Il rapporto con il socio e con i dipendenti non è stato facile. In quel periodo partivo alle sette da casa per tornarvi alle due di notte, facendo contemporaneamente i due lavori. L'ho fatto per undici anni, fin quando non ho ceduto ed è crollato tutto, anche la mia salute mentale. Ora sto come le foglie sugli alberi in autunno, non so se cado o rinasco ma ho ancora la forza per combattere e riempire le giornate con quel che so fare. Scrivo e vivo.
Come ci si sente a svolgere il ruolo di Direttore di un webzine in epoca Covid19?
Devo dire che nella mia vita ne ho viste tante, anche il Virus, e in un certo senso mi ritengo fortunato. Ho avuto la chiara sensazione, in gioventù, della povertà e della necessità di lavorare, ho ascoltato ed elaborato i racconti dei nonni sulla fame e sulla guerra, sono cresciuto senza che mi mancasse nulla ma chiedendo poco, visto che mi bastava l’amore e la tranquillità della famiglia e degli amici. Ho conosciuto il valore del lavoro, anche se nella mia vita non ho mai ricevuto uno stipendio pur non avendo lavorato solo per me stesso. Ho avuto tutto quello che serviva, auto vecchie ma funzionali allo scopo, autoradio che suonavano le canzoni che volevo, i soldi per la benzina e per andare a mangiare, qualche volta, la pizza da Cecchi e da Alba (tanto per rimanere in zona) e far bella figura con le ragazze. Ho potuto comperare le chitarre, il flauto e vedere la pubblicazione dei miei primi libri. Ho avuto la gioia di conoscere l’amore. Ho visto tutto il vedibile, viaggiando da solo e ho dormito negli alberghi più belli, grazie al lavoro, fatto qualche viaggio con mia moglie, fino alla fine del mondo, sulle spiagge spagnole e bretoni. Ho conosciuto gente eccezionale, poveracci e ricconi, operai e giocatori e con tutti mi sono comportato nella stessa maniera. Mi mancava la clausura, la mancanza di libertà e il terrore per la salute. La tosse è passata, la paura per il futuro dei miei figli no. Il virus ha fatto e farà molte vittime, soprattutto economicamente. Non sono mai troppo ottimista, ho sempre dovuto tirarmi su le maniche e alzarmi dopo le tante cadute e lo farò, lo faremo anche questa volta. Per quanto riguarda la Direzione della rivista lo considero il lavoro più bello e maggiormente retribuito che ho avuto. Non per i soldi, naturalmente, che non ci sono, ma per la gioia di poter costruire qualcosa di nuovo, di utile e di importante per gli Autori, l’Editore e i Lettori. Questo, per ora, mi basta.
Dove trova tutte le energie per scrivere libri e inventarsi quotidianamente articoli e interviste?
Non le trovo, ci sono. Fin quando ci saranno non mi preoccupo di usarle. Non c’è molto tempo da perdere nella vita. Non sono uno stakanovista ma le cose che mi piace fare, o che debbo fare, cerco di farle al meglio con passione. Se in negozio mi fosse arrivato un cliente con il frigo rotto anche alla sera, se era il caso, glielo riportavo subito e mi facevo (assieme al dipendente o a mio padre) gli otto piani con i cento chili felice di accontentarlo. Se in pizzeria bisognava correre per portare due pizze a casa di un cliente andavo e se c’era da lavare i piatti o pulire per terra all’una di notte lo facevo. E non per soldi, come potete capire. C’era un tempo in cui il Direttore del giornale Fegato Granata su cui tenevo una rubrica, mi telefonava a mezzogiorno per avere l’articolo (quasi una pagina intera di giornale) alla sera. Non potevo prepararlo prima, doveva essere super aggiornato. Lavoravo, magari fino alle otto o alle dieci di sera, poi scrivevo l’articolo. Lui si fidava e spesso lo "buttava in macchina" senza nemmeno correggerlo. Meglio esser sotto pressione che in panciolle ed è necessario pensare che quello che fai deve essere gradito agli altri, ai Lettori, ai Critici, a chi aspetta un tuo errore per distruggerti.
Si deve sempre cercare di fare il meglio. Purtroppo non è facile ma bisogna stare al gioco.
La Cultura in Italia: pensa che sia un problema o una risorsa?
Il problema è che non si riesce a farla diventare una risorsa. Non mi dilungo sui Musei e sulle bellezze storiche e artistiche Italiane, non voglio affrontare un discorso scontato riguardante il turismo o l’organizzazione degli eventi e delle risorse sparse a pioggia e inutili. Posso affrontare il problema dell’Editoria, che con la Cultura dovrebbe contare più di quanto in realtà fa, ma è un discorso che riguarda noi Autori, le Case Editrici e i Lettori. Dovremmo tutti avere molta più umiltà, non è che aver scritto un libro ci faccia entrare subito nella schiera degli eletti. Rimane un rapporto sempre commerciale tra un'opera e il Lettore (anche se è un trattato esclusivo venduto agli studenti universitari). Il problema è che spesso gli Editori si comportano solamente, e li capisco, come imprese che devono fare utili. Il mondo del libro, che vive dei sogni degli Autori, della paura e del rischio degli Editori e della volubilità dei Lettori è talmente complesso che non ci stupiamo di vedere tutti i grandi personaggi (dagli imprenditori ai politici, dagli attori ai calciatori) andare in televisione con il libro in mano per fare le classiche marchette (solo megalomania o voglia di vendere qualche copia in più?).
La Cultura non è una bandierina da sventolare, una figura retorica da evocare o un ombrello da aprire per giustificare il temporale. E’ Storia, millenni di Storia, Scienza, speranza, studio, lavoro e noi, in Italia, sappiamo bene riconoscerla.
Quindi il consiglio, per tutti, è avere l’umiltà di guardarsi intorno e fare il meglio possibile, per sé stessi e per gli altri. Lavorare, sempre, aiutare e aiutarsi, per raggiungere il miglior risultato possibile, che spesso non ci soddisferà ma sarà sempre meglio di niente.
Solo così la Cultura ritornerà a vincere commercialmente ed economicamente e a dar da mangiare agli operatori e gioia ai fruitori. Sono certo che non è finita, nonostante tutto.
Qual è il suo rapporto con la CE e con gli Autori?
Come posso rispondere? Con la Casa Editrice Hogwords ho pubblicato tre libri. Sono orgoglioso di averlo fatto e di poter dare il mio misero contributo alla causa. La Gazzetta è importante, una voce meravigliosa che deve avere l’apporto di tutti gli Autori, esser seguita e incoraggiata, siamo fortunati ad averla. Con gli Autori ho un rapporto particolare, un'amicizia sincera. Spesso cerco di spronarli, di renderli più attivi nel credere alle proprie opere, ai libri che hanno scritto con tanto amore e passione. Vorrei che non si illudessero troppo e affrontassero l’esperienza editoriale con umiltà e sicurezza dei propri mezzi, con gioia e senza supponenza. Bisogna accettare la sfida avendo coscienza delle proprie possibilità e lavorare, lavorare. Meglio se insieme all’Editore, agli amici, ai Lettori.
Lei che è un appassionato sportivo a cosa vorrebbe dare un calcio?
Per tutta la vita, vista la mia antica posizione in campo, non ho dato tanti calci al pallone. Di solito, da terzino, prendevo le gambe degli avversari, per difendere la mia porta più che per attaccare.
Darei... tuttavia un calcio, veramente, agli incubi che mi attanagliano da anni. Alla sensazione di impotenza verso i burocrati che ho provato sulla mia pelle. Darei un calcio alla cattiveria degli invidiosi, all'indifferenza e alla falsità di chi ha l’abitudine e la capacità di sfruttare la fiducia degli amici. Darei un calcio a chi sta fermo e aspetta, a chi cerca l’errore degli altri senza voler vedere i suoi. Darei un calcio al mondo, se solo fosse necessario ma non credo di riuscire a colpirlo al volo...
L'intervista termina con queste parole ma l'attività del Direttore va ben oltre la fine delle note della musica che abbiamo ascoltato insieme. Seduti fianco a fianco tra il pubblico muniti delle nostre immancabili mascherine e i guanti. Abbiamo fiducia nel futuro. Non nell'Uomo ma nel suo Intelletto. Ce lo ha insegnato Freud. Quando l'intelligenza vincerà la sua atavica battaglia contro l'istinto e le pulsioni avremo di fronte a noi un roseo futuro. Noi, insieme, il nostro contributo lo stiamo dando. Si chiama La Gazzetta di Hogwords ed è gratis per tutti. Bisogna solo aver voglia di desiderarla... Buona vita a tutti.
Pier Giorgio Tomatis
Chi è Claudio Calzoni?
Non lo so più da tempo. Sono stato un folle, credo, un sognatore, un illuso e un deluso, un disperato. Ho cercato, nella mia vita, ormai fin troppo lunga, di riempire al massimo le mie ore. Ho lottato contro il tempo cercando di dare il meglio agli altri, spesso sacrificando la mia volontà ma mai la mia ambizione. Devo tanto alla mia famiglia, ai miei genitori, ai miei nonni e alla scuola. Tra i tredici e i quattordici anni, mentre scoprivo la forza della musica, la bellezza delle storie di fantascienza, il mistero della storia del mondo, delle religioni e delle antiche civiltà, per emulazione e voglia di immergermi nell’Arte (intesa anche come vero e proprio artigianato) mi sono anche inventato Poeta. Certo nulla sarebbe successo se non avessi avuto le occasioni e le amicizie dell’infanzia e della scuola, l’impeto meraviglioso della condivisione di letture, esperienze e avventure che, in fondo, mi hanno spinto a diventare quello che credo d’essere ora. Ho condiviso la vita con compagni di cammino eccezionali, come il Professor Davide Ghezzo, compagno di classe dall’asilo alla fine della terza media e poi compagno di corso all’Università di Lettere e ancora adesso amico inseparabile. Potrei citare altri nomi come Rosario Farina, Antonio Antonicchio, Beppe Provero, Luca Cipriano che fin dall’infanzia frequentavano l’aiuola di Piazza Rivoli che era il campo di gioco e la scuola principale della mia giovinezza. Poi tutti i compagni di classe nelle medie e nelle superiori, gente meravigliosa (Marco Cordero, Mauro Migliorero, Claudio Ciccio Negro, Massimo Morello, il mai troppo compianto Maurizio Cremilli) che mi sopportava e mi spronava a far sempre meglio. Come i Professori che ricordo tutti con immenso piacere. Le vacanze a Salice d’Ulzio, la chitarra, la fortuna d’avere il Bravo, motorino che mi ha permesso di arrivare su quasi tutte le cime della Val di Susa, poi raggiunte con le moto da Trial. La gioia di poter condividere quei giorni con amici veri, come Claudio Bussi. Delle ragazze, per motivi di privacy non faccio i nomi, ma quanto sono stati importanti quelle sofferenze del cuore, quegli sguardi, quelle emozioni. La sofferta maturità, io spavaldo che da perito meccanico faccio il tema classico, nove pagine sui Poeti Montale, Ungaretti e Quasimodo. Il membro esterno che decide di leggere quattro righe e poi mettere una linea rossa su tutto: TRE di tema all’esame in cui sono stato presentato con il nove d’italiano. Una ferita non rimarginata, ma che mi ha costretto a presentarmi all’orale con una grinta mostruosa. Tanto che giurai al professore, durante il colloquio, che il mio primo libro l’avrei dedicato a lui… naturalmente non presi nemmeno nota del suo nome ma il libro l’ho scritto venti anni dopo. Poi, di filata, passato un mese dalla maturità, il militare, gli alpini, Merano, la caserma Monte Grappa, i campi invernali nella neve di Buosson, la mia Jeep e la broncopolmonite di maggio, l’ospedale e le centinaia di iniezioni. Da militare mi sono iscritto finalmente all’Università. Con Ghezzo a Lettere Moderne, innamorato perso e, ormai, Poeta Maledetto a tutto tondo, con centinaia di pagine piene di versi, canzoni, racconti e opere rock. La vita, tuttavia, improvvisamente cambia. Devo cominciare a pensare al lavoro, mio padre ha una officina di elettrauto a Santa Rita. Ho passato le vacanze, anche quelle natalizie, dai dodici anni ai venti, a portar batterie ai clienti, far ripartire macchine ferme nella neve, a lavar motorini nella nafta e non mi sono mai divertito. Dovevo lavorare e sono andato da un amico mobiliere. Ho incominciato a portar mobili su e giù per le scale e mi sono trasformato in Ragioniere quando c'erano i preventivi da fare senza prender un soldo. Ho imparato. A quell'epoca contava ancora qualcosa.
Nell’80 è capitata una strana occasione. In famiglia abbiamo deciso di fare una pazzia. Sono diventato imprenditore. Ho aperto un negozio di elettrodomestici. San Valentino, era il 1981, non avevo ancora compiuto 22 anni. Il negozio, che ho chiuso due anni fa, mostra che il Poeta maledetto era diventato un ragazzo super impegnato a lavorare. Da allora non ho contato le ore passate a sudare, le notti a scrivere. Ho tenuto la contabilità mentre sono uscito con le ragazze. Di giorno, dalle otto alle venti ho lavorato come un mulo. Sempre. Ho conosciuto tutta Torino, vissuto come in un sogno, continuo. Felice d’essere utile ai clienti, sempre pronto a nuove esperienze commerciali e umane. Ho viaggiato, con le aziende, girato tutto il mondo, potuto sposarmi, a trent’anni nell’89. I figli sono arrivati tardi, nel 1998 Alessandro, nel 2004 Francesca e forse proprio per questo li amo ancor di più. Lo Stato ha incominciato a prender di mira le piccole e medie imprese (la storia è comune a tante realtà come la mia). La lotta diventa pesante. Ho iniziato a pubblicare libri con il mio nome. Non per merito mio, certo. Ho avuto la fortuna di conoscere amici che mi hanno fatto questo onore, come Massimo Centini, che non ringrazierò mai abbastanza, Laura Rangoni, Luigi Di Cesare e naturalmente Pier Giorgio Tomatis. Nel 2006 ho aperto anche una pizzeria, nella speranza del futuro, per differenziare le attività. Si è trattato di una bellissima esperienza. Ho visto la gioia impressa negli occhi dei clienti che mangiavano ma era durissimo restare sul mercato. I giorni sono diventati eterni, le ore veloci. Il rapporto con il socio e con i dipendenti non è stato facile. In quel periodo partivo alle sette da casa per tornarvi alle due di notte, facendo contemporaneamente i due lavori. L'ho fatto per undici anni, fin quando non ho ceduto ed è crollato tutto, anche la mia salute mentale. Ora sto come le foglie sugli alberi in autunno, non so se cado o rinasco ma ho ancora la forza per combattere e riempire le giornate con quel che so fare. Scrivo e vivo.
Come ci si sente a svolgere il ruolo di Direttore di un webzine in epoca Covid19?
Devo dire che nella mia vita ne ho viste tante, anche il Virus, e in un certo senso mi ritengo fortunato. Ho avuto la chiara sensazione, in gioventù, della povertà e della necessità di lavorare, ho ascoltato ed elaborato i racconti dei nonni sulla fame e sulla guerra, sono cresciuto senza che mi mancasse nulla ma chiedendo poco, visto che mi bastava l’amore e la tranquillità della famiglia e degli amici. Ho conosciuto il valore del lavoro, anche se nella mia vita non ho mai ricevuto uno stipendio pur non avendo lavorato solo per me stesso. Ho avuto tutto quello che serviva, auto vecchie ma funzionali allo scopo, autoradio che suonavano le canzoni che volevo, i soldi per la benzina e per andare a mangiare, qualche volta, la pizza da Cecchi e da Alba (tanto per rimanere in zona) e far bella figura con le ragazze. Ho potuto comperare le chitarre, il flauto e vedere la pubblicazione dei miei primi libri. Ho avuto la gioia di conoscere l’amore. Ho visto tutto il vedibile, viaggiando da solo e ho dormito negli alberghi più belli, grazie al lavoro, fatto qualche viaggio con mia moglie, fino alla fine del mondo, sulle spiagge spagnole e bretoni. Ho conosciuto gente eccezionale, poveracci e ricconi, operai e giocatori e con tutti mi sono comportato nella stessa maniera. Mi mancava la clausura, la mancanza di libertà e il terrore per la salute. La tosse è passata, la paura per il futuro dei miei figli no. Il virus ha fatto e farà molte vittime, soprattutto economicamente. Non sono mai troppo ottimista, ho sempre dovuto tirarmi su le maniche e alzarmi dopo le tante cadute e lo farò, lo faremo anche questa volta. Per quanto riguarda la Direzione della rivista lo considero il lavoro più bello e maggiormente retribuito che ho avuto. Non per i soldi, naturalmente, che non ci sono, ma per la gioia di poter costruire qualcosa di nuovo, di utile e di importante per gli Autori, l’Editore e i Lettori. Questo, per ora, mi basta.
Dove trova tutte le energie per scrivere libri e inventarsi quotidianamente articoli e interviste?
Non le trovo, ci sono. Fin quando ci saranno non mi preoccupo di usarle. Non c’è molto tempo da perdere nella vita. Non sono uno stakanovista ma le cose che mi piace fare, o che debbo fare, cerco di farle al meglio con passione. Se in negozio mi fosse arrivato un cliente con il frigo rotto anche alla sera, se era il caso, glielo riportavo subito e mi facevo (assieme al dipendente o a mio padre) gli otto piani con i cento chili felice di accontentarlo. Se in pizzeria bisognava correre per portare due pizze a casa di un cliente andavo e se c’era da lavare i piatti o pulire per terra all’una di notte lo facevo. E non per soldi, come potete capire. C’era un tempo in cui il Direttore del giornale Fegato Granata su cui tenevo una rubrica, mi telefonava a mezzogiorno per avere l’articolo (quasi una pagina intera di giornale) alla sera. Non potevo prepararlo prima, doveva essere super aggiornato. Lavoravo, magari fino alle otto o alle dieci di sera, poi scrivevo l’articolo. Lui si fidava e spesso lo "buttava in macchina" senza nemmeno correggerlo. Meglio esser sotto pressione che in panciolle ed è necessario pensare che quello che fai deve essere gradito agli altri, ai Lettori, ai Critici, a chi aspetta un tuo errore per distruggerti.
Si deve sempre cercare di fare il meglio. Purtroppo non è facile ma bisogna stare al gioco.
La Cultura in Italia: pensa che sia un problema o una risorsa?
Il problema è che non si riesce a farla diventare una risorsa. Non mi dilungo sui Musei e sulle bellezze storiche e artistiche Italiane, non voglio affrontare un discorso scontato riguardante il turismo o l’organizzazione degli eventi e delle risorse sparse a pioggia e inutili. Posso affrontare il problema dell’Editoria, che con la Cultura dovrebbe contare più di quanto in realtà fa, ma è un discorso che riguarda noi Autori, le Case Editrici e i Lettori. Dovremmo tutti avere molta più umiltà, non è che aver scritto un libro ci faccia entrare subito nella schiera degli eletti. Rimane un rapporto sempre commerciale tra un'opera e il Lettore (anche se è un trattato esclusivo venduto agli studenti universitari). Il problema è che spesso gli Editori si comportano solamente, e li capisco, come imprese che devono fare utili. Il mondo del libro, che vive dei sogni degli Autori, della paura e del rischio degli Editori e della volubilità dei Lettori è talmente complesso che non ci stupiamo di vedere tutti i grandi personaggi (dagli imprenditori ai politici, dagli attori ai calciatori) andare in televisione con il libro in mano per fare le classiche marchette (solo megalomania o voglia di vendere qualche copia in più?).
La Cultura non è una bandierina da sventolare, una figura retorica da evocare o un ombrello da aprire per giustificare il temporale. E’ Storia, millenni di Storia, Scienza, speranza, studio, lavoro e noi, in Italia, sappiamo bene riconoscerla.
Quindi il consiglio, per tutti, è avere l’umiltà di guardarsi intorno e fare il meglio possibile, per sé stessi e per gli altri. Lavorare, sempre, aiutare e aiutarsi, per raggiungere il miglior risultato possibile, che spesso non ci soddisferà ma sarà sempre meglio di niente.
Solo così la Cultura ritornerà a vincere commercialmente ed economicamente e a dar da mangiare agli operatori e gioia ai fruitori. Sono certo che non è finita, nonostante tutto.
Qual è il suo rapporto con la CE e con gli Autori?
Come posso rispondere? Con la Casa Editrice Hogwords ho pubblicato tre libri. Sono orgoglioso di averlo fatto e di poter dare il mio misero contributo alla causa. La Gazzetta è importante, una voce meravigliosa che deve avere l’apporto di tutti gli Autori, esser seguita e incoraggiata, siamo fortunati ad averla. Con gli Autori ho un rapporto particolare, un'amicizia sincera. Spesso cerco di spronarli, di renderli più attivi nel credere alle proprie opere, ai libri che hanno scritto con tanto amore e passione. Vorrei che non si illudessero troppo e affrontassero l’esperienza editoriale con umiltà e sicurezza dei propri mezzi, con gioia e senza supponenza. Bisogna accettare la sfida avendo coscienza delle proprie possibilità e lavorare, lavorare. Meglio se insieme all’Editore, agli amici, ai Lettori.
Lei che è un appassionato sportivo a cosa vorrebbe dare un calcio?
Per tutta la vita, vista la mia antica posizione in campo, non ho dato tanti calci al pallone. Di solito, da terzino, prendevo le gambe degli avversari, per difendere la mia porta più che per attaccare.
Darei... tuttavia un calcio, veramente, agli incubi che mi attanagliano da anni. Alla sensazione di impotenza verso i burocrati che ho provato sulla mia pelle. Darei un calcio alla cattiveria degli invidiosi, all'indifferenza e alla falsità di chi ha l’abitudine e la capacità di sfruttare la fiducia degli amici. Darei un calcio a chi sta fermo e aspetta, a chi cerca l’errore degli altri senza voler vedere i suoi. Darei un calcio al mondo, se solo fosse necessario ma non credo di riuscire a colpirlo al volo...
L'intervista termina con queste parole ma l'attività del Direttore va ben oltre la fine delle note della musica che abbiamo ascoltato insieme. Seduti fianco a fianco tra il pubblico muniti delle nostre immancabili mascherine e i guanti. Abbiamo fiducia nel futuro. Non nell'Uomo ma nel suo Intelletto. Ce lo ha insegnato Freud. Quando l'intelligenza vincerà la sua atavica battaglia contro l'istinto e le pulsioni avremo di fronte a noi un roseo futuro. Noi, insieme, il nostro contributo lo stiamo dando. Si chiama La Gazzetta di Hogwords ed è gratis per tutti. Bisogna solo aver voglia di desiderarla... Buona vita a tutti.
Pier Giorgio Tomatis