Incontro con Mauro Saglietti.Conosciamoci meglio, chi è Mauro Saglietti?
Un ragazzo di 51 anni che non solo non è cresciuto ma si ostina a non volerlo fare, costi quel che costi. Rivendico orgogliosamente il mio modo di essere, sparato in faccia allo specchio che invece è amico spietato e inesorabile. Scherzi a parte, sono una persona non perfetta, che nel corso degli anni ha provato a combattere i suoi difetti, impresa persa in partenza ma almeno abbiamo combattuto. Che dire su di me? Sono torinese, amante della mia città, ho imparato a sopportarne molte contraddizioni, ex tifoso viscerale del Toro che fu, fino a qualche anno fa (anche se mi rattrista sempre constatare questo sopravvenuto disincanto), innamorato delle nostre montagne, della musica e dei bei film. Come è nata la sua passione per la scrittura? Quasi per caso, sui banchi di scuola. All'epoca mi piaceva molto inventare delle storie con protagonisti i personaggi che popolavano la classe. Erano storie ironiche, con situazioni portate al limite del grottesco, parodie che spesso diventavano involontariamente taglienti e sarcastiche. I compagni ridevano e tanto mi bastava. Così cominciai a scrivere qualcosa di più strutturato, almeno provai. La vera svolta fu leggere a 20 anni "Christine la macchina infernale, di Stephen King", che mi rapì come pochi libri hanno saputo fare, nel periodo in cui mi dilettavo a scrivere quello che nelle mie intenzioni sarebbe dovuto diventare il mio primo libro. Ero in vacanza e alternavo la lettura di King alla scrittura e tutto sembrava magicamente sovrapporsi alle emozioni della mia personalissima vita. Furono pochi giorni, perché poi l'incantesimo si ruppe per cause esterne con una grande sofferenza, ma sufficienti per miscelare quello che poi mi avrebbe accompagnato: la voglia di scrivere e condividere il dolce-amaro, che poi è quello che spesso accomuna le nostre vite. Occorsero comunque anni prima che decidessi di non perdere più tempo e strutturare un pochino la mia scrittura. Quando ha pubblicato il suo primo libro e quali sono state le sue emozioni a tenerlo fra le mani? Ho iniziato tardi, a 36 anni. Era il 2006 quando venne alla luce "Hurricanes - ballammo una sola estate" edito da Elena Morea Editore, ora praticamente introvabile, che era una vicenda autobiografica ambientata ai tempi in cui il Torino era Toro, il racconto della stagione 1984-1985 vista dagli occhi di un quasi ragazzo che entrava in quel fantastico mondo che era allora quello del tifo. Ricordo l'emozione di sapere che sarebbe stato pubblicato e poi il senso di commozione nello stringerlo tra le mani. Subentrò poi quasi il senso di incredulità, la paura di gustarsi quella gioia per scoprire di esaurirla o di credere di avere già fatto abbastanza, una sensazione che mi ha accompagnato anche con i lavori seguenti. Fu una tappa forse ingenua, ma sincera, che mi ha permesso di entrare a contatto con situazioni, persone ed esperienze, che avevo visto soltanto col cannocchiale. L'ultimo suo libro come si intitola? Quale è il suo editore? Il titolo è "PARADISE", edito dalla Robin Edizioni, con la quale ho già pubblicato "3 MINUTI E 40 SECONDI", poco più di due anni fa. PARADISE è una storia che ha le sue fondamenta in un mistero sfuggente e nel senso di incombenza suggerito da una vecchia casa abbandonata. Quali sono i motivi per cui lo ha scritto, quali le ispirazioni? Può, senza svelare troppo, accennare alla trama del racconto? Tutto è scattato molti anni fa da una forte suggestione visiva mentre in macchina transitavo nei pressi di questa villa che stiamo vedendo ora. Sono sempre stato appassionato di storie che hanno a che vedere con vecchie magioni, in maniera molto vigliacca. Nel senso che “io qui e tu là”. Mai mi azzarderei a fare l'eroe esploratore dell'ignoto. Proprio questo timore tuttavia ha spesso sviluppato la fantasia, il desiderio di immaginare che cosa ci sia dietro una finestra buia. Il bello della soggettivazione è che ognuno può creare o inserire ciò che vuole, pescando dalle proprie fantasie o dalla fantasia. PARADISE è la storia di un'amicizia tra due ragazzini amanti di gialli e mistero che nel 1982 viene bruscamente interrotta dalla scomparsa misteriosa di uno dei loro. A 31 anni di distanza, uno dei ragazzini, ormai diventato un disilluso signore, fa ritorno al paese delle proprie estati per cercare di comprendere cosa capitò durante quel lontano periodo, ispirato anche da una serie di fatti inquietanti che lo portano a rimestare il passato, forse per farlo rivivere ancora e dare un senso a quello che fu e a quello che è sempre in divenire. C'era molto pubblico presente alla libreria Feltrinelli di Torino nella serata della presentazione di "Paradise" e molte copie sono state vendute. Quali sono, secondo lei i motivi di tanto interesse per il suo romanzo? Sono soddisfatto di avere avuto la possibilità di presentare questo lavoro in una ribalta così importante e voglio davvero ringraziare tutte le tante persone che mi hanno regalato la loro visita. Mettiamola così: chi mi conosce, e quindi gli amici, non si capacita di come abbia potuto scrivere una cosa così seria. Per le altre persone, invece, credo ci sia la voglia di addentrarsi in una storia anomala, in un mistero sfuggente e di sapere come va a finire una vicenda, nonostante l'imponente numero di pagine. Cosa si aspetta da un libro così importante e che sembra destinato a un grande successo? Magari! Durante gli anni in cui scrivevo PARADISE, mi chiedevo se qualcuno avrebbe mai trovato la forza di leggerlo, quindi tutto sembra sorprendente e irreale. Qualsiasi persona che mi dà un giudizio mi fa un piccolo regalo, che è la ricompensa principale al mio lavoro, non essendo certamente questa la mia professione. Mi farebbe davvero piacere che questo romanzo potesse avere altri riscontri. Non bisogna essere gradassi o presuntuosi ma porsi degli obiettivi ragionevoli, di volta in volta. E se possibile assaporarli. Data la sua grande esperienza, si sente di dare qualche consiglio ai lettori ed ai giovani che intraprendono la carriera di scrittore? I numeri sono spietati. Se si spedisce un manoscritto a 100 editori, soltanto in 2 risponderanno e non necessariamente per dare l'ok. Le difficoltà sono enormi, poi il mercato ormai si basa su nomi che consentono di vendere a colpo sicuro. Il consiglio che mi permetto di dare è di non lasciarsi abbindolare dalle Case Editrici che ti propongono di comprare 2000 copie del tuo testo e poi ti lasciano a gestirle. Ovviamente testi che finiscono in cantina, perché al di là delle copie per amici, sfido chiunque a gestire una tale quantità di materiale senza una vera e propria distribuzione. Occorre una Casa Editrice seria, magari che non prometta miracoli, ma che metta le cose in chiaro da subito e che, abbia un'anima innovatrice e sappia guardare alle nuove tendenze del mercato. Ci parli del futuro. Sta scrivendo o pensando nuove opere? A dire la verità ho due lavori quasi pronti, completamente differenti tra di loro e non ho ancora deciso quale strada intraprendere. Il primo, che dovrebbe intitolarsi "La porta che non c'era" è una raccolta di racconti che hanno a che fare con fantasmi e mistero. Intendiamoci, non con situazioni splatter o horror che sono fondamentalmente visive Ma con situazioni suggerite, dove l'incombenza, l'inquietudine e quello che si immagina, con una realtà che spesso perde i suoi contorni definiti, suggeriscono emozioni e ambientazione. Il tutto con qualche capatina nel giallo puro o nel fantastico. Il secondo invece, il cui titolo provvisorio è "Never say goodbye", è un viaggio nella nostalgia e nell'ironia, in un cammino ambientato negli anni '80 di una serie di compagni di scuola, alle prese con un mistero mai risolto. Un lavoro a cui tengo molto, basato sulla voglia di vivere e divertirsi, che in fondo abbiamo ancora oggi noi ragazzi ormai cresciuti. Io e l'autore torinese camminiamo nel giardino della villa protagonista del romanzo "Paradise". Sono dovuto venire fin quassù, tra le montagne che si affacciano sulla zona nord della città, per intervistarlo. Nonostante il successo del libro Mauro ama visceralmente l'atmosfera, rarefatta e silenziosa, che si respira intorno alla vecchia villa che incombe monumentale e in rovina sul prato che ci vede passeggiare. Villa Paradiso, costruita alla fine dell'ottocento in pieno stile liberty, con il tetto di pietre in lose, è rialzata rispetto al piano stradale, che domina letteralmente a una distanza di circa 40 metri e al termine del vecchio e disastrato giardino vi è la dependance, anch'essa ormai in rovina. Passeggiamo, parlando, sul prato, tra le radici di piante di quello che un tempo era un parco. L'erba bassa, che qualcuno ogni tanto si prende la briga di tagliare, fa da contorno ai detriti che sono caduti dal tetto: una grondaia che prima penzolava, gli infissi del controsoffitto, una persiana rosso mattone. Insomma, nel silenzio della montagna, il vento, entrando tra le persiane della casa, a tratti porta fuori gemiti e sospiri. Mauro non si preoccupa, io si. Lui è abituato alla stranezza del posto, alla presenza terrificante di questa vecchia casa abbandonata. Il suo romanzo è ambientato qui, anzi, direi che la casa stessa ha voluto raccontare la sua storia allo scrittore. Buio, paura, amicizia, tempi passati e presenti, terrore e innocenza. Sulla strada lontana passa un auto con la radio accesa a tutto volume, Mauro si volta, mi guarda e rabbrividisce. Il vento ci trasporta le note di "Paradise" di Bruce Springsteen: “Where the river runs black I take the schoolbooks from your pack plastics, wire and your kiss the breath of eternity on your lips.... Va bene, ho capito, caro Mauro, Villa Paradiso vuole avvertirmi. Qui, l'Inferno, non è così lontano. Grazie per l'intervista ma è proprio ora di andare, prima che faccia ancor più buio... Claudio Calzoni. |