Intervista al giornalista e scrittore torinese Piero AbrateIncontro Piero Abrate nella bellissima Piazza della Consolata di Torino, di fronte alla basilica più amata dai Torinesi, così austera all'esterno quando splendente all'interno. Lo stile barocco delle decorazioni interne, la successione intricata di navate, cappelle e la magnifica cripta in cui è conservato il quadro della Vergine a cui è dedicata la chiesa rendono il visitatore attonito ad ogni visita. Fuori, nella piccola piazza dal 1763 un piccolo locale accoglie i pellegrini e le più importanti personalità torinesi. Il Bicerin è una tappa obbligata per chi passa da quelle parti. Fermarsi in quel locale a consumare una delle specialità di caffetteria proposte è un vero rito per lo spirito ed il palato.
In questo periodo virulento il locale è chiuso ma noi facciamo finta di entrare, conosciamo troppo bene gli interni in legno, le decorazione aggraziate, le riproduzioni d'epoca alle pareti. Ci sediamo idealmente sotto il ritratto di Cavour. Ordiniamo due bicerin, quella bevanda descritta così bene da Umberto Eco nel Cimitero di Praga. Mentre attendiamo iniziamo a discorrere. Chi è Piero Abrate? Si presenti ai nostri lettori con un autoritratto... Quand'ero un bambino, mio nonno, che di mestiere faceva il contadino amava ripetermi: ricordati che la terra è bassa e quindi il consiglio che ti do è quello di studiare tanto e fare magari il medico, come tuo prozio. In pratica, il fratello di mia nonna. Lui era stato medico condotto a Sanfrè e Bandito, due piccoli centri a due passi da Sommariva del Bosco, dove sono nato nel 1955. Nel piccolo centro in provincia di Cuneo ho vissuto sino all'età di sette anni, frequentando la prima elementare in una classe di sole donne. Perché di sole donne? Perché mia zia, la moglie del dottore per intenderci, voleva assolutamente essere la mia maestra, ma quell'anno ripartiva il suo ciclo quinquennale con una prima classe femminile. Ai quei tempi non esistevano ancora le classi miste, soprattutto nei paesi. La zia chiese una dispensa alla direttrice e mi ritrovai ad essere il "galletto nel pollaio". Terminata la prima elementare i miei genitori si sono trasferiti a Torino ed io con loro. E da allora ho sempre frequentato classi maschili, anche alle superiori, in quanto ho scelto un istituto tecnico in ambito automobilistico. Ho comunque seguito il consiglio di mio nonno. Ho continuato a studiare, laureandomi in Scienze Politiche. Avrei voluto fare il concorso da commissario da polizia, ma proprio ai tempi di Palazzo Nuovo ho cominciato a collaborare con Stampa Sera, occupandomi di sport automobilistici. I miei studi mi erano serviti, eccome... Ci parli della sua esperienza di giornalista... Devo dire grazie ai miei studi in ambito automobilistico, ma anche allo sport se sono diventato giornalista. Da ragazzo correvo a piedi. A quei tempi i runner erano pochissimi e non c'erano le folle oceaniche che vediamo adesso nelle maratone. Quando andava bene c'erano 80-100 partecipanti. Ci si conosceva tutti. Uno di loro mi chiese di collaborare ad un quindicinale che si chiamava "Il podista". Fu così che a 16 anni firmai i miei primi servizi giornalistici. E da allora non ho più smesso. Dopo l'esperienza in ambito podistico, ho scritto per il "Piemonte Sportivo" e poi per “Stampa Sera” sino al 1992, quando la testata ha chiuso i battenti. Poi ho vissuto l'esperienza di redattore a “La Stampa”, occupandomi anche di cronaca bianca e nera, mentre nel 2000 sono stato chiamato a dirigere un mensile a tiratura nazionale, nuovamente in ambito automobilistico. Qualche anno dopo ho diretto anche "Torino Sera", la prima free press quotidiana distribuita in quasi 100 mila copie nel capoluogo e nel suo hinterland. E' stata un'esperienza interessante, che mi ha fatto crescere professionalmente. E, ancora l'esperienza come direttore al settimanale "La Nuova" con l'editore Giachetti di Casale Monferrato. Cosa l'appassiona del suo lavoro di giornalista? E come trova il tempo per conciliare il lavoro e l’impegno di scrivere libri di cultura, tradizioni e lingua piemontese? Come tutte le passioni, anche quella del giornalista la devi coltivare. Nessuno nasce giornalista, ma lo diventa attraverso molti sacrifici. Bisogna accettare di ingoiare bocconi amari, talvolta anche umiliazioni. E' importante rispettare le regole, la deontologia. Il tempo per scrivere libri lo trovi sempre. Pensate a Bruno Vespa. Produce un libro all'anno, nonostante il suo impegno quotidiano in seconda serata su Rai1. E nonostante la sua veneranda età. O prima di lui, Enzo Biagi, Piero Ottone e tanti altri. Tutti personaggi famosi. Io al loro confronto mi sento una pulce. Quali sono le pubblicazioni che l'hanno appassionata di più? Tutte, altrimenti non le avrei realizzate. Diciamo che quella alla quale tengo maggiormente è ancora da terminare. Ci sto lavorando da oltre 10 anni. Si tratta della seconda edizione del Dizionario dei cognomi piemontesi. Ne ho catalogati circa ottomila, il doppio rispetto alla prima edizione. Uscirà entro la fine dell'anno: circa 700 pagine tra etimologie, distribuzioni sul territorio, storie di famiglie, personaggi illustri e tante curiosità. L'onomastica mi attrae da sempre, così come amo sin da ragazzo la terra in cui vivo: ho unito questi due passioni per dare vita ad un lavoro unico nel suo genere. Nessuno prima di me ci aveva provato prima. Sappiamo che, oltre a queste passioni, ne ha una che l'accompagna da sempre: la poesia... Quello è stato davvero il primo amore. I primi versi risalgono ai tempi delle scuole medie e da allora non ho mai smesso. Si comincia sempre con versi d'amore o di disperazione amorosa. Ma chi prosegue anche in età adulta deve trovare un suo percorso. Io il mio l'ho trovato, anche se vi sono periodi lunghi anche un lustro in cui non scrivo versi. Fino ad oggi ho firmato quattro sillogi. L'ultima è una raccolta di poesie erotiche. Invecchiando si perdono certi freni inibitori... Cosa ci può dire della battaglia che sta portando avanti per mantenere e rinsaldare, nonostante l’indifferenza della politica culturale e dei giovani, la dignità della lingua e della tradizione della nostra regione? E' fondamentale battersi per qualcosa in cui si crede. I miei nonni mi hanno insegnato l'importanza della cultura popolare, quella stessa che un tempo si tramandava anche soltanto oralmente. Grazie ai social ho potuto incontrare, anche se solo in modo virtuale, centinaia di persone che credono fermamente nella necessità di salvaguardare le tradizioni e la cultura della nostra terra. Su Facebook ho creato di recente il gruppo "Amici del Piemonte". Ad oggi hanno già aderito quasi 9.000 persone. Mi pare un buon risultato. L'importante è non finire come Don Chisciotte di fronte ai mulini a vento. Siamo il web magazine di una casa editrice, purtroppo questa fermata obbligatoria dovuta al virus non aiuterà certo il settore. Come pensa che gli editori possano contrastare questa crisi terribile di tutta la filiera culturale e libraria? Gli editori, così come gli imprenditori di altri settori fortemente penalizzati - si pensi soltanto a turismo e ristorazione - non devono demordere. Purtroppo nei giorni scorsi è stato cancellato il Salone del Libro di Torino. Una vera disdetta per il mondo dell'editoria, anche se gli organizzatori hanno cercato di sopperire con incontri e dibattiti sul sito dell'evento e sui social ai quali hanno partecipato grandi scrittori dall'Italia e dall'estero. La carta stampata è in crisi ormai da diversi anni, ma sono convinto che il libro, quello cartaceo per intenderci, sia immortale. L'e-book non potrà mai soppiantarlo. Per questo è importante che gli editori continuino a crederci. Prima di salutarci, vuole dire due parole ai nostri lettori sull'attuale, tremendo, momento storico? La pandemia è paragonabile a una Terza guerra mondiale. Mai prima di oggi si erano fermate gran parte delle attività produttive del pianeta. Bloccate le frontiere, cancellati i voli, costrette milioni di famiglie a restare in casa per settimane. Come tutte le pandemie passerà anche questa. Il colera e la peste dei secoli scorsi avevano fatto più vittime del Covid-19, ma non c'era stata un'espansione così rapida e virulenta in tutto il pianeta. Ci vuole pazienza ed è importante seguire le direttive sanitarie. Ogni giorno siamo bombardati in tivù di consigli, ma vedo tanta gente per le strade che pare infischiarsene. In questo caso non penso si tratti di ignoranza, ma di arroganza, quella stessa che Andreotti definiva come il peggior difetto che un uomo possa avere. Il bicerin è finito in fretta. Il profumo del legno degli infissi unito agli afrori di caffè e delle spezie, dei liquori e del cioccolato, dona al locale un non so che di esotico, di lontano nel tempo e nello spazio. Nonostante il virus, nonostante tutto, Torino è una città che regala emozioni a non finire. Come l'amicizia. Come la poesia. Come la vita. Saluto Pero Abrate, ringraziandolo per avermi concesso l'intervista. Ci incamminiamo lui verso il centro, io verso Piazza Statuto, passando davanti al vecchio caseggiato dell'Uffico d'Igene, ora sede dell'ASL, tristemente famoso perché lì si andava, da piccoli, a fare i vaccini. Sullo sfondo, ritto nella luce della sera troneggia l'Obelisco di Piazza Savoia. Torino è veramente una città Magica. Claudio Calzoni 18 maggio 2020 |
Libri di Piero Abrate: Modi di dire Piemontesi (Liguria Express), Storie Assassine (Liguria Express), Dizionario dei cognomi liguri (Liguria Express), Drolarie e Faribolade an Piemunteis (Liguria Express), Io mi chiamo (Liguria Express), Il Piemonte del Crimine (Edizioni Servizi Editoriali), Cento anni di Cinema in Piemonte (Abacus). Le sillogi di poesia "Chiaroscuri", "Pozzanghere" con foto di Massimo Centini, "Amore e Periferia", "E dall'amplesso di Penia e Poro nacque Eros" e i manuali legati al mondo del giornalismo "Storia del giornalismo", "Nascita della stampa politica di Piemonte". https://pieroabrate.it/