Intervista al Maestro Ettore Vigo, storico tastierista dei mitici Delirium.Oggi entriamo nella storia di una delle eccellenze italiane, la Musica. Incontro il Maestro Ettore Vigo a Torino, in via Bertola, davanti al numero 34, sede ormai abbandonata della famosa casa discografica Fonit Cetra, una delle più grandi italiane, nata nel 1957 dalla fusione della Cetra, di proprietà della Rai e attiva sin dagli anni trenta e la Fon.It. milanese nata nel 1911. La Fonit Cetra è stata chiusa nel 1998 assorbita dalla Dischi Ricordi. Il Maestro, riconoscibilissimo, è un vero signore della musica, oltre ad essere un simpaticissimo amico. Quest’uomo è uno dei fondatori dei Delirium, uno dei più importanti gruppi musicali della scena del “pop” italiano. Che qui, proprio qui, venivano ad incidere i loro dischi. La sede della Casa Discografica era in uno stabile dallo stile moderno, vicino al Palazzo della Luce, già conosciuto dai nostri lettori. Ora, uno dei luoghi in cui si è scritta, suonata e registrata moltissima musica italiana è occupato anche da alcuni uffici della Regione Piemonte. Il pensiero che all’inizio degli anni settanta molti tra i più importanti e celebrati gruppi rock e pop frequentassero questi luoghi mi emoziona a dovere. Ammetto di non essere imparziale, ma la musica di quegli anni era per me, ragazzo, una vera fonte di crescita culturale. Del resto, molti dei brani pensati dai musicisti eccentrici, cappelloni e ribelli di allora venivano qui arrangiati da musicisti classici di chiara fama e registrati con la grande orchestra della casa discografica. Incontrare il Maestro, per me, è come incontrare un pezzo di Storia. Conosciamoci meglio chi è il maestro Ettore Vigo? Ci racconti un po’ della sua storia. Sono nato nel 1942 a Genova. Mia mamma era casalinga, mio papà ferroviere. Mi sono avvicinato presto alla musica, studiando il pianoforte. Poi la passione per il Jazz ha preso il sopravvento. Ho suonato in tutto il mondo, fondato il gruppo dei Delirium frequentando la scena pop italiana sino ad oggi. Ora vivo in collina, ad Arquata Scrivia, nella pace della campagna. Compongo musiche, studio sempre e mi diverto con la mia splendida famiglia. Ci racconta un po' di storia dei Delirium, il gruppo che lei ha fondato negli anni sessanta e che è ancora in attività? Ho iniziato a suonare per locali da solo, un repertorio di classici americani. Ma Genova è città di mare e nei locali arrivava forte il vento della musica brasiliana. Decisi di formare un trio, piano, contrabbasso e batteria per poter suonare e comporre anche un po’ di samba e bossanova. La Genova musicale allora era una fucina di artisti, si viveva, si parlava e si faceva musica tutti assieme. Per cui formare gruppi era all’ordine del giorno e gli impresari dei locali sapevano come farci impegnare al massimo. Nel lontano 1966 entrai a fare parte di un gruppo che dal 1962 si esibiva nelle balere e nei night della città: I Sagittari. Scoperti da Gian Piero Reverberi dopo qualche incisione con l’etichetta del mitico Natalino Otto, e l’ingresso del giovane Ivano Fossati, il gruppo cambiò il nome in Delirium. Arrivammo al successo con i dischi “Canto di Osanna”, “Jesahel”, “Haum” e l’album “Dolce Acqua”. Successo vero, interplanetario. Partito militare, Ivano decise di continuare la sua attività musicale come cantautore. Arrivato dall’Inghilterra nei Delirium cominciò a suonare il flauto ed il sax “il folletto” Martin Frederick Grice, e la nostra musica divenne “prog” a tutti gli effetti. Registrammo ancora due dischi “Lo scemo e il villaggio” e “Viaggio negli arcipelaghi del Tempo” che sono rimasti nella storia del “progressive” italiano. Ora il gruppo si è riformato con la presenza di giovani e bravissimi musicisti, prendendo il nome di Delirium IPG (Italian Progressive Group), Nonostante l’età abbiamo ancora molte cose da dire musicalmente e il contatto con il pubblico è sempre piacevole. Che cosa era la musiga “prog”? Spesso si parla di eccellenze italiane nel mondo, quanto importante è ancora il “progressive” italiano nel mondo? La denominazione Prog è nata nei paesi anglosassoni alla fine degli anni sessanta, per definire un nuovo modo di fare musica, combinando vari generi come, pop, pop jazz, rock e anche classica e popolare, spesso utilizzando tempi ritmici dispari per «impreziosire» le armonie e le performance soliste. Spaziare fra i vari generi è ed è stato molto stimolante. Guardando la reazione del pubblico dei nostri concerti in Francia, Germania e Ucraina vi posso assicurare che il pop italiano è ancora seguitissimo in tutta Europa. Non per nulla i dischi originali dei gruppi italiani dei primi anni settanta sono tra i più richiesti al mondo. La vera sorpresa però è stato il successo della nostra tournée in Giappone di due anni fa. Indubbiamente siamo stati trattati come delle star internazionali. Nello specifico i Delirium hanno avuto successo e popolarità universale, ci può raccontare le sensazioni di quegli anni? A ripensare adesso a quei tempi mi accorgo di come fosse normale vivere tra la realtà ed il sogno. Ci si muoveva tra uomini che sono poi diventati veri miti della musica italiana, si suonava e cantava con persone che nel tempo avrebbero raggiunto il successo. Nei Sagittari e nei Delirium oltre a me, suonava e cantava Ivano Fossati che poi ha avuto una splendida carriera di cantautore. Il batterista Peppino di Santo e il bassista Marcello Reale arrivavano dal gruppo di Nico Di Palo, che avrebbe poi suonato nei New Trolls. I Sagittari erano prodotti da Gian Piero Reverberi e Dino Cabano, il bassista, tentò la strada del cantante solista insieme a Lucio Dalla cantando “Il Cielo” al Festival delle Rose nel 1967. Sul palco di Sanremo, insieme a noi cinque e tra le donzelle del coro si vedono Oscar Prudente, autore della musica di “Jesahel” e Mario Lavezzi, che ci farà poi incidere una sua canzone “è l’ora” con testo di Mogol. Oltre alla musica la popolarità ci aveva portato perfino a fare le comparse in un film di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Ancora oggi incontro persone che mi raccontano di come le serate Sanremesi del 1972 abbiano stravolto il loro rapporto con la musica, spesso con la poesia, con la cultura. Noi ci ispiravamo agli Hyppie, al movimento nuovo, pacifico e rivoluzionario che il vento del 68 aveva portato in Europa, intanto studiavamo musica, tempi ritmici diversi, strumenti sempre più complessi ed elettronici. Torino fa parte dei suoi ricordi? A Torino venivamo spesso a suonare come Sagittari nei locali alla moda come il Fortino e il Le Roy. In città, in via Bertola, aveva sede la nostra casa discografica. La realizzazione del nostro primo album Dolce Acqua risale alla fine del 1971. La Cetra (allora non era ancora Fonit) era fornita di una sala di registrazione enorme, contenente due pianoforti a coda, un organo hammond B3, un organo a canne e altri mille strumenti. Si registrava però con un magnetofono da un pollice, cioè 8 tracce: base ritmica e piano, poi premixaggio e aggiunta di chitarre, premix e aggiunta di cori, premix e aggiunta di voci. Insomma un gran lavoro manuale che ora viene fatto in digitale al computer e allora costava ore di lavoro certosino. Qualche brano strumentale come To Satcmo Bird and other friends (dolore) e Movimento I (egoismo) lo abbiamo registrato in diretta senza sovraincisioni, così come alcuni brani degli album successivi: troppo bello! Ricordo le manovre del fonico Danilo, quando doveva tagliare la coda o qualche rumore iniziale nei brani, faceva girare a mano il nastro e tagliava nel punto esatto, eliminava il difetto, poi incollava i due lembi del nastro con uno speciale adesivo (anche ora si fa copia e incolla, ma è molto più facile!) Insomma Torino per me rimane una città in cui ho lavorato e vissuto molto e da cui, forse, non ho ricevuto abbastanza. E Genova? Genova è stata ed è ancora una fucina di talenti, in particolare, nel mondo cantautoriale e nel mondo pop e prog… citerei ad esempio New Trolls, Nuova Idea, Mattia Bazar, Museo Rosenbach, cantautori come Fabrizio De Andrè, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli e Bruno Lauzi. Specialmente tra le band, in quegli anni d’oro c’è stata molta collaborazione, si suonava e si ascoltavano i nuovi talenti, le nuove tendenze della musica insieme, in particolar modo quella dei gruppi stranieri che inevitabilmente ci appassionava ed influenzava. Nota dolente, il rapporto con Ivano Fossati. Ivano era il flautista ingaggiato dai Delirium (allora ancora Sagittari) in un locale a Genova, il Crystie, locale frequentato da tutti gli orchestrali dei complessi cittadini e quindi sede continua di jam session e scambi musicali. Suonava la chitarra, ma con il flauto riusciva a incantare il pubblico, ispirandosi chiaramente a Ian Anderson dei Jethro Tull. Aveva quel vocione da basso e quel fisico possente, e subito la sua immagine ieratica da trascinatore venne fuori, aiutata per altro da canzoni come Canto di Osanna e Jesahel che lo vedevano protagonista assoluto. Era un ragazzo introverso ma pieno di talento e di voglia di scrivere e imparare. Aveva scritto buona parte dei testi dell’album Dolce Acqua e la musica e le parole di Canto di Osanna e Jesahel, con l’amico Oscar Prudente. Musicalmente andavamo d’accordo e anche caratterialmente c’era una buona intesa. Dopo le notti di San Remo qualche cosa cambiò, un po’ di sua iniziativa, un po’ per “merito” della Fonit che, pensando di prendere due piccioni con una fava, cercò di convincerlo a tentare la carta del cantautore solista. Quando poi partì per il militare la collaborazione finì, i Delirium erano ormai famosi e dovettero continuare a suonare in giro per l’Italia assoldando un nuovo flautista. I nostri contatti sono ora molto sporadici. Una curiosità come è nato il nome “Delirium” Come detto sopra, l’idea l’ha avuta il bassista, Marcello Reale, studente in medicina: il gruppo stava vivendo un periodo di euforica frenesia, così pensando al delirium tremens, scherzosamente, si decise di eliminare il «tremens». La passione per la vita del musicista non è ancora passata? Speriamo di fare più concerti possibile! Per noi Delirium il live è prioritario, specialmente in paesi esteri come Messico, Canada, Giappone. Nel frattempo stiamo già pensando ad un prossimo album discografico: il materiale fortunatamente non manca e nemmeno l’entusiasmo. La passione, certo, non passerà mai ! Bevuto il caffè nel bar di fronte, ascoltato il racconto di più di cinquanta anni di carriera musicale del Maestro, rimango incantato. Resta, quel palazzo, ormai svuotato di suoni, di armonie, di ritmi. Quanto è cambiata la musica in questi anni, quanto siamo cambiati noi e sono cambiati i gusti dei nostri figli? Allora, nei primi anni settanta, comprare un disco nuovo era un rito magico, religioso. Si ascoltavano i lunghi brani poetici ed incalzanti, evocativi o provocatori e si analizzavano con gli amici, cercando inutilmente di farli capire alle ragazze. Bach, il Jazz, il Rock e la poesia si intrecciavano con i vestiti eccentrici, i capelli lunghi, le chitarre, il moog, il mellotron. Una generazione di musicisti ed ascoltatori che è durata per pochi anni. Restano il mito e quelle note, che negli anni sono diventate leggenda. Ho salutato da poco il Maestro e non l’ho ringraziato abbastanza. Se ogni tanto sogno, certo, è merito di quella musica che mi è rimasta nel cuore. Claudio Calzoni |