La schedina vincente Intervista a Sandro GaspariniUn nuovo e bellissimo progetto letterario, con valenze sportive e umanitarie, sta per vedere la luce sotto l'egida della Casa Editrice Giangiacomo Della Porta di Moncalieri. Tredici scrittori, amanti dello sport, del calcio e della sua valenza sociale e storica raccontano, nel libro “La schedina vincente” i loro ricordi e le emozioni legate ad una particolare partita, quella che, in qualche modo, ha segnato la loro vita.
Conosciamoci meglio. Chi è Sandro Gasparini? Ci disegni il suo autoritratto. Sono un ragazzo dei primi anni “sessanta”. Torinese, con una parte toscana ereditata dal ramo materno della famiglia, che mi porta a desiderare il mare più di ogni altra cosa, e che rende spesso il mio carattere un po' fumantino. Sposato, due figli e una cagnetta, sono un commerciale che ha sempre vissuto sulle strade di tutta Italia, sobbarcandomi milioni di chilometri. Adesso ho ridotto la mia zona di competenza, ma l’impegno, purtroppo non è diminuito di pari passo, anzi. Fra i miei passatempi preferiti c’è senz’altro la lettura. Ho sempre sostenuto che tra leggere o scrivere, non avrei dubbi sulla scelta da fare, per cui appena ho un momento libero, mi butto su un libro. Preferisco i romanzi di avventura, gli storici, i legal thriller mentre detesto cordialmente i fantasy e gli horror. Sono appassionato, anzi, direi malato di calcio, che dopo aver ancora praticato fino a poco più di dieci anni fa, seguo regolarmente. Qual è, attualmente la definizione di sé stesso che preferisce? Ho ricevuto un’educazione da persone che, prima di tutto con l’esempio, mi hanno insegnato a essere consapevole che la nostra libertà e la nostra agiatezza, hanno avuto un prezzo, e che questo è stato pagato da tanti con un costo altissimo. Per rispetto di queste persone ho sempre cercato di comportarmi secondo regole morali anche non scritte, insegnando ai miei figli i valori che mi hanno trasmesso. Spero di essere stato, e di continuare a essere, un buon esempio a mia volta. Mi piacerebbe che chi mi ha conosciuto, si riferisca a me come un uomo perbene. Questo mi renderebbe orgoglioso e darebbe un senso alla mia vita. Entriamo in tema calcistico. Quale è la sua squadra del cuore? Il Toro, da sempre. Mi ricordo ancora la prima partita che andai a vedere, era un Torino – Brescia del 1967, tre a zero per noi con tripletta di Nestor Combin, e rammento ancora l’emozione di vedere le maglie granata dal vivo e il bombardamento di domande a cui sottoposi il mio povero papà, che quasi non riuscì a vedere la partita. Vidi anche giocare Gigi Meroni, la cui prematura, tragica scomparsa appena qualche mese dopo, sarebbe diventata il mio primo grande dolore, che esternai con svariati pianti a dirotto. Come scritto nel mio capitolo, ho avuto la possibilità di indossare quella maglia e di calcare il prato del vecchio Filadelfia. Ancora oggi a pensarci mi vengono i brividi per l’emozione. Nessuno potrà mai togliermi questo ricordo. Essere tifosi del Toro è una filosofia di vita, vuol dire sapere che nessuno ti regalerà mai niente, che dovrai lottare contro ingiustizie e sfortuna, ma anche che tutto ciò che avrai conquistato sarà meritato e frutto delle tue capacità, non di scorciatoie e di furberie assortite. Nel calcio, come appunto nella vita, preferisco perdere con dignità, dopo aver dato fondo a tutte le energie, piuttosto che vincere “rubando”. Noi granata, nostro malgrado, abbiamo anche imparato a perdere. Quale è stato il suo stato d'animo quando il torinese Marco Piano, il capitano di questa nuova squadra nata per motivi letterari e benefici, le ha parlato di questo progetto? Come ha reagito alla convocazione in questa speciale nazionale di scrittori? Quali sono i motivi che fanno di Torino - Cesena la sua personalissima “partita della vita”? Sai, Marco e io ci conosciamo da oltre quarantacinque anni, eravamo compagni di classe alle scuole superiori. Abbiamo poi condiviso anni di campionati di calcio a cinque e la vita ci ha fatto prendere strade diverse. Quando ci siamo ritrovati, lui aveva già scritto due libri. Il secondo, “Quando il 5 era lo stopper” l’ho letto con curiosità e attenzione, perché tratta argomenti che hanno fatto parte della mia vita e che conosco bene, per cui ci siamo confrontati spesso. Poi, un giorno mi ha telefonato e mi ha comunicato che aveva una proposta estremamente interessante da farmi, e mi ha parlato di questo progetto. Descrivendomelo, mi disse di aver pensato che secondo lui la mia partita della vita perfetta, sarebbe stata appunto Torino Cesena nell’anno dello scudetto del Toro, dove io ero in campo perché facevo il raccattapalle. Non ti nascondo che ero un po' (veramente anche molto più di un po'...) perplesso, soprattutto perché, pur essendo a conoscenza del fatto di essere capace di scrivere correttamente, non ero del tutto convinto che quello che avessi da raccontare sarebbe stato ritenuto interessante da altre persone. Lui ha insistito, incoraggiandomi e spiegandomi cosa avrebbe voluto scrivessi, e quindi mi sono messo al lavoro. Subito mi sono reso conto che i ricordi affluivano nitidi giorno dopo giorno e riuscivo a percepire le emozioni, persino gli odori e le sensazioni che provai in quel periodo della mia vita, seppur così lontano. Le frasi si incorrevano in testa e facevo fatica a riportarle sulla carta. Ho riscoperto episodi e aneddoti che avevo riposto in un angolo della memoria e sono veramente tornato a quarantacinque anni fa, facendo rivivere situazioni ormai quasi dimenticate e persone che, purtroppo, non ci sono più. Finito il lavoro, ho voluto sottoporlo ai due “capitani” Marco e Stefano, che mi hanno confortato con il loro giudizio, approvando quanto avevo scritto, ed eccomi qua. Visto che la Gazzetta è l’organo di informazione ufficiale delle Edizioni Hogwords, ed ha lettori molto interessati al rapporto che si instaura tra i personaggi intervistati e le loro opere, entriamo a gamba tesa nella sua storia personale: ha mai pubblicato, a suo nome o in collaborazione con altri autori, dei libri? Oltre a elencarci titoli e argomenti trattati ci può dire quali sono state le sue sensazioni a vedere stampate le sue parole, le sue idee, sulla carta? No, come ti ho detto precedentemente, questa è stata la prima esperienza come scrittore. Mi ha fatto un effetto strano leggere le frasi che avevo scritto così chiaramente nella mia mente. Devo ammettere di aver provato una certa soddisfazione nel vedere l’oggetto delle mie fatiche riportato sulla carta, insieme agli altri capitoli. È una bella sensazione sapere che il tuo pensiero, le tue idee, resteranno vive fino a che ci sarà una copia del libro. Mi sono sentito molto coinvolto, divertito, ho gioito e mi sono commosso nel leggere gli altri capitoli. Emergono un’armonia narrativa e temporale molto marcate, nonostante le differenze sia culturali che professionali dei tredici autori. I suoi cari come si sentono ad avere uno scrittore, un giornalista, un personaggio che è o che diventerà famoso che gira per casa? Permettimi di riderci sopra. Non sono sicuramente un personaggio famoso, e molto probabilmente non lo diventerò mai. Sinceramente non mi importa nulla, e sono certo che per i miei familiari sarà lo stesso. Un paio di anni fa, per la “festa del papà”, il diciannove marzo, mi hanno regalato una piastrella di ceramica con scritto “se per il mondo non sei nessuno, per qualcuno sei il mondo”. Per me, e per la mia autostima, credo basti e avanzi. Si sente di dare qualche consiglio ai giovani che si apprestano a leggere il libro “La schedina vincente”? Ha qualche raccomandazione o invito da fare alle lettrici ed ai lettori? Più che consigli da dare, inviterei i giovani, ma anche i meno giovani o come si dice adesso i “diversamente giovani”, a leggere questo libro ognuno con le proprie motivazioni, ma tenendo ben presente che tutti i capitoli hanno un denominatore comune. Questi racconti narrano infatti la vita e la storia di circa quarant’anni del nostro Paese e descrivono fatti accaduti in questo arco temporale in tutto il mondo, con le emozioni, le paure, le speranze e le aspettative di tredici persone nelle quali tutti si possono riconoscere. Alcuni di noi erano giovanissimi al tempo dell’ambientazione dei capitoli. Io avevo quindici anni, e chi ci leggerà, potrà respirare la nostra voglia di vivere, la realtà in cui vivevamo e le aspettative che scaturiscono dalle nostre storie. Così come in altri, dove il protagonista era meno giovane e se ne percepisce la maturità e le diverse reazioni agli eventi narrati. Nessuna raccomandazione, se non quella di avvicinarsi a questo libro con la curiosità di capire il mondo che noi, con i nostri occhi abbiamo descritto. Senza pregiudizi, ma con la consapevolezza di affacciarsi davanti a un affresco di quarant’anni di vita vissuta, che potrebbe essere la loro, quella dei loro padri o persino quella dei loro nonni. Ci parli del futuro. Sta scrivendo, pensando o organizzando cose nuove? Per il momento sono abbastanza preso dal lavoro, e visto che ci sono anche gli impegni familiari, ho poco tempo da dedicare ad attività diverse. Certo qualche idea ce l’ho, una fra tutte è quella di raccogliere in una specie di diario dell’anno passato sotto le armi, la mitica “naja”. Un’esperienza che i ragazzi di oggi non riescono nemmeno a immaginare. Io ricordo ancora quasi giorno per giorno quel periodo, ormai lontano quasi quarant’anni e non è detto che prima o poi non trovi il tempo e il coraggio di buttarmi in questa nuova avventura. Vedremo se e come riuscirò a organizzarmi, mai dire mai. Per finire ci racconti di questo periodo tremendo del virus. Ha avuto esperienze particolari, paure, tristezze o gioie inaspettate da raccontare? Cosa rimarrà nel suo cuore dei lunghi giorni passati in quarantena? Con quali speranze e desideri l’uomo Sandro si appresta al ritorno della vita normale, se mai la vita ritornerà normale? Premetto che il 2020, è stato per me, dal punto di vista professionale un anno eccezionale avendo avuto un incremento del fatturato di circa il quaranta per cento. Nessun merito speciale, se non il fatto che lavorando anche per aziende che producono igienizzanti e dispositivi di protezione, ricevevo tantissime richieste che oltretutto in gran parte non sono purtroppo nemmeno riuscito a soddisfare. Detto questo ho riscontrato una grande differenza tra la prima ondata (marzo-maggio), della quale, se non fosse stato per la chiusura dei locali e l’obbligo di stare in casa, non me ne sarei nemmeno accorto e la seconda, quella dell’autunno/inverno scorso. In quest’ultima ho avuto purtroppo molti amici, parenti e conoscenti colpiti dal virus, e molti, soprattutto i più anziani, non ce l’hanno fatta. Un dolore grandissimo, e la bruttissima sensazione di essere impotente di fronte a questo pericolo subdolo, strisciante e infido. In più la preoccupazione a causa del mio lavoro, che mi porta quotidianamente a contatto con tantissime persone, di rischiare di poter sempre essere contagiati, nonostante tutte le precauzioni che si prendono, per la leggerezza e il disinteresse di altri. Della quarantena ricordo soprattutto le uscite con la mia cagnetta, che essendo anzianotta (supera i sedici anni) dopo pochi passi, si metteva sdraiata al sole che splendeva in maniera anomala per quel periodo dell’anno, e dormiva beata, permettendomi di prendere un po' d’aria e leggere qualche pagina di un buon libro. Come detto, ho lavorato molto nel periodo della chiusura più dura, per cui queste uscite erano anche un modo per “staccare la spina”. Sono fiducioso che ritorneremo a una vita quasi normale, anche se non a breve e sicuramente il vaccino potrà aiutare ad accelerare questo ritorno. Non credo che le ferite che il virus ha provocato possano rimarginarsi in poco tempo. Sono ancora troppe le paure e purtroppo troppi anche quelli che prendono la cosa poco sul serio, quasi fosse una seccatura se non addirittura un’invenzione. Come se non bastasse, siamo bombardati quotidianamente da una sconcertante campagna di informazione, che in realtà, non solo informa poco, ma anzi concorre a creare confusione con una ridda di dichiarazioni continue e spesso contraddittorie tra loro. Senza contare che nei cosiddetti talk-show, eminenti scienziati, che dovrebbero rappresentare la credibilità e la certezza della scienza appunto, dicono tutto e il contrario di tutto, accapigliandosi come vecchie comari. Ora mi mancano i contatti umani, i saluti, gli abbracci e tutte le plateali dimostrazioni di affetto cui tutti eravamo abituati. Spero che almeno queste ostentazioni possano tornare a riempire le strade e i locali delle nostre città, in una parvenza di normalità riconquistata. Claudio Calzoni |