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Incontro con il giornalista e blogger Paolo Attivissimo

Non sono mai stato un appassionato delle "cose informatiche". No, non è vero. Nella mia vita di venditore di elettrodomestici, iniziata nel 1981, quando era appena nata la televisione a colori, ho avuto parecchi incontri con la tecnologia avanzante dei primi personal casalinghi. Avevo iniziato con i primi videogiochi, ricordate il "Ping o Tronic" e le prime consolle Atari? Avete idea del successo commerciale dei primi "Commodore 64" o dei successivi personal, immessi sul mercato da "Olivetti", "Apple", "IBM"? Bene ne ho viste e vendute di tutti i colori, appassionandomi ai risultati finali, alle cose che uscivano da quelle macchine, ma non ci ho mai capito un tubo di sistemi operativi e di programmazione. Quando poi è nato internet, per necessità e fortuna sono stato tra i primi a usufruirne, in negozio si era materializzato l'arrivo della fibra e tutto il rapporto con quel mondo mi trovò, in qualche modo, anticipatore. Arrivarono i telefonini con i video, le nuove reti, i modi di collegarsi, parlare.
Avere ospite in questa rivista Paolo Attivissimo è un onore. Da sempre è attivo, nomen omen, nella divulgazione scientifica dell'innovazione tecnologica e si è distinto, con rubriche giornalistiche su testate famose e trasmissioni radiofoniche, nella ricerca e nello sbugiardamento delle bufale che corrono in rete. Sentiamo cosa ci racconta della sua esperienza.   


Conosciamoci meglio, chi è? Ci disegni il suo autoritratto.
Prima di tutto chiarisco un dubbio inevitabile: Attivissimo è il mio vero cognome. Non è uno pseudonimo. È un cognome del centro-sud d'Italia. Detto questo, sono nato a York (Regno Unito) nel 1963, sono metà inglese e metà italiano, e vivo in Svizzera da quindici anni con mia moglie Elena, tre gatti e mezzo (figli e figlie hanno lasciato il nido da un po') e troppi computer. Lavoro come giornalista scientifico e traduttore tecnico; mi occupo di miti e bufale soprattutto in campo tecnologico (le cosiddette "fake news"), conduco ogni settimana un programma radiofonico alla Radiotelevisione Svizzera ("Il Disinformatico") e ho scritto una dozzina di libri di divulgazione informatica e di smontaggio delle tesi complottiste.

Come è nata l'idea di attivista antibufale e la sua voglia di portare avanti iniziative Culturali originali e innovative?
L'idea è nata per caso negli anni Novanta. Avevo appena pubblicato uno dei primi libri italiani sull'allora nascente Internet e vi avevo incluso una piccola lista delle leggende metropolitane, dei falsi miti e delle dicerie che vi circolavano già all'epoca. Cose come "se mandi questa mail a dieci amici, Bill Gates ti manderà 123 dollari" oppure "un bambino di 9 anni malato di cancro vuole entrare nel Guinness dei Primati per il maggior numero di cartoline d'auguri, questo è il suo indirizzo".
Ho cominciato a ricevere mail di persone che mi chiedevano se altre dicerie che avevano ricevuto erano vere o false e ho pensato che sarebbe stato pratico creare una pagina Web (all'epoca si pagava la singola pagina) che riassumesse le principali dicerie con un bollino "vero/falso". Ha funzionato ma la cosa mi è esplosa in mano, perché sono arrivate ancora più richieste. Ho scoperto che investigare mi appassionava ed era anche utile e così è nato il Servizio Antibufala. Ho fatto delle iniziative Culturali originali e innovative? Sul serio?
Grazie ma non le ho mai viste in questi termini. Di sicuro non sono stato io a inventare il servizio antibufala: altri già lo facevano. Fare "debunking" (sbufalamento) è Cultura? Può darsi ma non ho queste ambizioni. Voglio solo mettere a disposizione i fatti per chi è ancora interessato a conoscerli e, se possibile, imparare qualcosa e divertirmi strada facendo.

Ci parli di social e della loro importanza anche, e soprattutto, in quest'epoca di Covid19.
I social network sono stati indispensabili per consentirci di restare in contatto in questi mesi di isolamento forzato ma anche vettori di notizie false, dicerie pericolose e persecuzioni terribili. Hanno ridotto a quasi zero il costo delle comunicazioni a distanza (io ricordo i tempi non lontani in cui telefonare ai miei genitori in Messico costava l'equivalente di quattro euro al minuto) ma anche di una campagna per influenzare le opinioni. Oggi, ciascuno di noi ha una potenza di fuoco, una "tiratura virtuale" sostanzialmente illimitata. Un post su Facebook o un tweet può essere scritto da chiunque ed essere letto in pochi secondi da milioni di persone in tutto il mondo. Abbiamo tutti, improvvisamente e senza preparazione, acquisito un potere senza precedenti ma non abbiamo imparato a gestirlo. Nel frattempo, alcuni hanno però imparato a manipolarlo e monetizzarlo. Dobbiamo trovare il modo di insegnare alle persone che i social network non sono uno spazio libero da influenze, come credono in molti, e che le parole che usiamo pesano, feriscono, a volte uccidono. Secondo me questo processo deve iniziare già a scuola, per formare le generazioni del prossimo futuro e consentire a loro di insegnarlo a noi adulti. Sì, saranno i giovani a insegnarcelo. Gli adulti si lamentano sempre dei pericoli di Internet e dell'incoscienza dei giovani ma vorrei ricordare che ogni declinazione dei social network, campagna di disinformazione, app truffaldina che divora e svende i nostri dati personali è stata creata da adulti, non da giovani.

Come si coniuga la sua personalità con i suoi trascorsi a "La Gazzetta dell Sport"?
Ho scritto per "La Gazzetta dello Sport" non come sportivo (l'unico sport che ho mai praticato è lo skateboard) ma come informatico. La Gazzetta aveva bisogno di qualcuno che spiegasse Internet ai suoi lettori e mi ha chiamato ma non è stato un coniugio di personalità; semplicemente una piacevole collaborazione.

Ha pubblicato anche dei libri e con quali Editori?
Ho scritto una dozzina di libri, principalmente con Apogeo. Ora li scrivo e pubblico direttamente con gli strumenti digitali (Ilmiolibro, Lulu, Amazon) testi sostenuti finanziariamente dai miei lettori: è infinitamente più efficiente e flessibile rispetto al lavoro con una Casa Editrice.

I suoi amici e familiari come hanno contribuito a farla crescere professionalmente?
Beh, sicuramente hanno contribuito con la loro infinita pazienza! Sono un pignolo inguaribile e loro mi sopportano quando riscrivo per l'ennesima volta un paragrafo o non resisto alla tentazione di sistemare una presentazione che devo fare in pubblico perché c'è una singola virgoletta sbagliata. Mia moglie Elena organizza tutti i miei appuntamenti; non potrei nemmeno cominciare a lavorare senza di lei, che mi è sempre accanto.

Si sente di dare qualche consiglio ai giovani che si affacciano solo ora alle porte del mondo del lavoro?
Posso provare a darne uno, fondamentale: decidete presto se volete restare in Italia e lottare contro ottusità, burocrazia, lentezza, corruzione e nepotismo o andare all'estero e trovare un mondo dove questi stessi difetti ci sono ma non sono così esasperati da portare alla paralisi anche nel lavoro più semplice. Mi spiace parlare così del Paese in cui sono cresciuto ma dico le cose come stanno: cercare di lavorare in Italia, in qualunque settore, è come guidare col freno a mano tirato. Solo quando vai all'estero ti rendi conto che non è per forza così che deve essere e di quanto è soffocante l'ambiente di lavoro italiano. Io ho lasciato l'Italia negli anni Novanta con quattro stracci e nessuna prospettiva di potermi permettere non dico una casa ma almeno una famiglia. Non appena sono andato all'estero (ho vissuto in Lussemburgo e nel Regno Unito prima di approdare in Svizzera), pur facendo lo stesso lavoro, la mia vita è cambiata.

Ci parli del futuro. Sta scrivendo, pensando o organizzando cose nuove?
Continuamente! Sto lavorando a una serie di articoli di divulgazione scientifica, le "Storie di Scienza", sostenute economicamente dai lettori tramite donazioni: i primi articoli sono già su Disinformatico.info, leggibili gratuitamente e ho già pubblicato un libro-blog dedicato alla prossima sfida divulgativa che ci coinvolgerà tutti: la mobilità sostenibile e in particolare le auto elettriche. Intorno a queste auto girano molti falsi miti e paure ingiustificate. Ho un'auto elettrica da due anni e ho verificato personalmente che costa meno, inquina meno ed è una soluzione più praticabile di quel che si pensa ed è fattibile per un numero maggiore di persone di quel che si crede comunemente e, oltretutto, è facilissima e piacevolissima da guidare.

Per finire ci racconti di questo periodo tremendo del virus. Cosa rimane di questi giorni di quarantena? Con quali speranze e desideri si appresta al ritorno della vita normale?
Per quel che mi riguarda è presto per dire cosa rimane: la mia quarantena volontaria non è ancora finita e non prevedo che finirà presto e il ritorno alla vita normale è ancora lontano. Posso dire cosa mi ha dato fin qui questa situazione surreale e inquietante: una consapevolezza ancora più profonda della fragilità della vita e dell'importanza degli affetti e di coltivare le cose che ci uniscono più di quelle che ci dividono. Ho preso l'abitudine di ringraziare più spesso quando vedo qualcosa di bello fatto da qualcuno, invece di darlo per scontato. Ho imparato a non rinviare a domani quello che potrei dire o fare oggi, perché domani potrebbe essere troppo tardi. In questo periodo ho perso numerose persone care e non le ho neanche potute salutare o dire loro per un'ultima volta "ti voglio bene".
Allo stesso tempo, ho accelerato il cambiamento delle mie priorità che era già in atto lentamente: mi chiedo più spesso se la cosa che sto facendo valga la pena d'essere fatta o il tempo che le sto dedicando. Non rispondo più ai provocatori, ai litigiosi, ai complottisti, e mi scelgo con cura i casi sui quali indagare e lavorare giornalisticamente, limitandomi a quelli che possono veramente causare danni nella società. Vale la pena indagare su quelli che sostengono l'esistenza dello yeti o della Terra piatta o cava o credono agli oroscopi? No, perché non sono un pericolo per la società. Vale invece la pena occuparsi degli antivaccinisti, i ciarlatani che vendono cure false, insomma di tesi che, se prendono piede, possono portare a conseguenze sociali catastrofiche.

Salutiamo, con un grazie sentito e un largo sorriso il nostro simpaticissimo ospite. Certi che i nostri lettori, curiosi e interessati non tarderanno a cercare risposte alle loro domande sul blog del Disinformatico, Paolo Attivissimo.

Claudio Calzoni
​Pier Giorgio Tomatis
​

https://attivissimo.blogspot.com/p/foto-del-disinformatico.html>


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