Ho incontrato il professore alla presentazione di un paio di libri a tema sportivo. La sua simpatia e la consapevolezza di avere molte passioni in comune mi hanno contagiato. Sapere che molte delle notti trascorse in auto con la compagnia della musica dell'autoradio erano state in qualche modo condotte dalle sue parole e dalle sue scelte musicali è stata quasi una rivelazione. La faccia tosta per richiedere un'intervista è arrivata dopo, durante la cena presso un noto ristorante torinese, dopo un certo numero di bicchieri di vino, e gli agnolotti al tartufo. Non potevo lasciare che un personaggio di tale levatura sfuggisse alla Gazzetta...
Conosciamoci meglio, chi è Marco Basso? Ci disegni il suo autoritratto. Sono nato a Torino nel 1958 e mi ritengo particolarmente fortunato perché nella mia vita lavorativa sono riuscito a fare le cose che amavo di più: occuparmi di arte figurativa e di musica. Laureato in Lettere, con indirizzo di Storia dell’Arte, ho insegnato dall’età di 24 anni; inoltre mi sono occupato di musica parlando ai microfoni all’alba delle radio private a partire dal 1976, e quindi dopo aver vinto un concorso nazionale, su RadioRai dall’83 fino al 1997. Ho scritto di musica su riviste specializzate e quotidiani torinesi; dal 1992, dalle colonne de La Stampa.
Qual è, attualmente, la definizione di sé stesso che preferisce? Un autentico entusiasta nel trasmettere agli altri le mie passioni e piacevolmente propenso a mettere in connessione persone appassionate come me per realizzare progetti.
Entriamo nel tema delle sue grandi passioni: la musica e l’arte. Ci può descrivere il suo rapporto con entrambe? Quali sono le esperienze in campo artistico, e le sue sono tantissime, che ama più raccontare e descrivere ai nostri lettori? Quali altre passioni hanno riempito la sua vita? Ogni forma d’arte intesa come espressione creativa capace di produrre opere apprezzate per la loro forza comunicativa, emotiva e quindi anche estetica, è in grado di riempire la vita di ognuno di noi. Quanto arricchisce ogni forma d’arte la nostra vita? Davvero ci dona gioia e piacere. Mi è impossibile pensare a una vita senza arte. Insegnare o raccontare la musica per radio sono esperienze assolutamente meravigliose perché permettono la condivisione incuriosendo e infiammando chi ascolta. Mi piace e vi ringrazio per darmi questa possibilità qui, di ricordare due progetti che seguo in questi ultimi anni: Il premio Carlo U. Rossi e il museo dedicato a Mario Giansone. Carlo Rossi è stato uno dei più importanti produttori musicali italiani mancato improvvisamente per un incidente stradale nel 2015. Non ha mai voluto andare via da Torino nonostante le case discografiche gli facessero ponti d’oro per trasferirsi a Milano; In nome della sua passione ha prodotto quasi misconosciuti artisti locali, ma anche i Subsonica, Mau Mau, Africa Unite, Baustelle, Caparezza, Vinicio Capossela, Jovanotti, Ligabue, Litfiba, Negrita, Giuliano Palma & the Bluebeaters, Paola Turci, Nina Zilli e molti altri. Con alcuni suoi amici abbiamo organizzato un premio biennale per promuovere i produttori artistici che sono poco apprezzati e noti in Italia per il loro lavoro; in fondo sono quelli che confezionano la musica che ascoltiamo. Mario Giansone (1915-1997) è stato uno scultore torinese oggi quasi sconosciuto: dopo essere stato fino alla prima metà degli anni 60 presente in moltissime prestigiose collezioni private, dagli Agnelli alla RAI. Una sua scultura, “La donna della domenica”, ha ispirato il titolo del romanzo omonimo di Fruttero e Lucentini. Poi nel 65, al culmine della sua carriera, in una personale a La Bussola, prestigiosa galleria torinese, curata da Marchiori, forse il più noto critico di scultura di allora, disse a Peggy Guggenheim che gli chiedeva di potersi portare via delle opere “Io non regalo niente a nessuno”; da allora il suo spirito libero lo condannò al dimenticatoio per questo sua legittima decisione. Un outsider vero, un cane sciolto, scomodo antagonista di un mercato dell’arte che si basa su regole ferree. Oggi cerchiamo di salvare le sue interessantissime opere che l’Associazione Giansone detiene, cercando di realizzare un museo che le ospiti e sia visitabile. Due belle iniziative, ma complicatissime da realizzare. Come Don Chisciotte bisogna sempre lottare contro i mulini a vento… Posso dire che anche il calcio è una forma d’arte? Una squadra, un giocatore che si esprime con fantasia e talento infiamma di passione e alimenta la condivisione: questo si chiama tifo. Ma la passione bisogna conquistarsela faticando: così come non è sempre facile capire un pittore, o ascoltare e apprezzare un brano musicale, la stessa cosa accade nel seguire una squadra quando cerca di barcamenarsi in un universo per miliardari e per ottenere risultati deve sudare e tanto… allora penso al mio Toro.
Ecco una piccola, e grande, digressione nel passato. I ragazzi della nostra generazione erano affascinati dalla figura del disc-jockey radiofonico, del potere di quelle voci che riempivano le notti di musica. Quali sono state le emozioni più forti che ha vissuto nella sua carriera? Quali i ricordi più belli, gli aneddoti più strani, le piccole o grandi soddisfazioni che vuole raccontare ai nostri lettori? Devo innanzitutto dire di essere stato fortunato di vivere in un’epoca che ha indubbiamente rappresentato il periodo d’oro della musica pop, ovvero popolare, nell’accezione americana del termine. Mentre iniziavo l’Università, ho incominciato a trasmettere per radio: quanti concerti visti e quante interviste! Indimenticabile quella a Bob Marley, sicuramente l’ultima in Italia, negli spogliatoi del Comunale: era il 28 giugno 1980. E poi tanti momenti indimenticabili: l’aver trasmesso per la Rai in diretta il concerto di Amnesty International, dei Pink Floyd e Madonna, tutti da Torino, e l’aver condotto le dirette radio intervistando le star del Pistoia Blues Festival 1988 come Johnny Winter, Blues Brothers Band, Booker T. & The MG's, Sam Moore, John Lee Hooker, Stevie Ray Vaughan And Double Trouble. L’emozione di aver seguito per la prima volta per Radiorai il Montreux Jazz Festival del 1991: la sera del Gospel, presentata dal reverendo Jesse Jackson, ero seduto in prima fila di fianco a Quincy Jones, George Duke e Steve Ferrone; mentre alla festa conclusiva nella villa sul lago del patron Claude Nobs, tentai, in preda ai fumi dell’alcol, di accompagnare alla batteria Allen Toussaint, una leggenda di New Orleans. Chi mi conosce sa che io non rievoco quasi mai questi ricordi perché preferisco tenere sempre un basso profilo. Forse fin troppo. Ma è un retaggio della mia educazione… Davanti al microfono emozioni importanti tante: in primis durante il concorso in Rai a Roma quando per la prima volta dovetti intrattenere con la musica scelta e commentata da me; in studio c’erano Antonio De Robertis, Gigi Marziali e Paolo Testa, i mitici conduttori di Supersonic; e poi la esperienza straordinaria di Rai Stereonotte, quando si trasmetteva dopo il giornale radio della mezzanotte fino a quello delle 6 del mattino: c’era un’aura davvero magica. Tra le soddisfazioni indubbiamente che ancora oggi c’è gente che mi cerca su facebook e si ricorda i miei programmi e mi dice di avere ancora le cassette registrate delle mie trasmissioni; poi quando nel 1981 la RCA mi portò Paolo Conte in studio al GRP Radio con la lacca di Paris Milonga chiedendomi come trovavo il disco (lo ascoltammo da mezzanotte alle tre del mattino) o quando nel 1983 Edoardo Bennato, notoriamente scettico con i giornalisti, volle che fossi io a intervistarlo in Rai per presentare il suo disco “E’ arrivato un bastimento”. Grande soddisfazione poi l’aver portato a termine il libro “Torino città del jazz” nel 2015, e essere riuscito a realizzare le mostre su Mario Giansone a Palazzo Saluzzo Paesana nel 2016 e a Palazzo Madama nel 2017.
Visto che la Gazzetta è l’organo di informazione ufficiale delle Edizioni Hogwords, ed ha lettrici e lettori molto interessati al rapporto che si instaura tra i personaggi intervistati e i loro interessi letterari, musicali, teatrali, entriamo a gamba tesa nella sua storia personale. Quali sono stati i passi che la hanno condotta a scegliere una vita così carica di musica e di arte? Quando avevo 8 anni i miei nonni mi chiesero se avessi qualche desiderio: espressi di voler assistere a un concerto dei Beatles; mi portarono a Londra, credo fosse la primavera del 1966: non ricordo quasi nulla se non ragazzine isteriche attorno a noi. Da allora con notevole anticipo rispetto ai miei coetanei, insieme a giovanissimi compagni come Carlo Rossi, Mixo e Luca De Gennaro seguivamo il rock., All’epoca frequentavamo le medie a San Giovannino; iniziammo a strimpellare strumenti tentando di mettere su un complesso, non ci perdevamo un concerto. Impazzivo per Hendrix e Led Zeppelin che vidi al Velodromo Vigorelli in quel dannato concerto del 5 luglio 1971, poca musica e tanti lacrimogeni. Poi grazie al papà di un amico, pianista dilettante amante del jazz, iniziai a invaghirmi seriamente del jazz: era il 1974. La passione per l’arte nasce seriamente al liceo grazie a un docente, il professor Mario Bonello che al Classico a Valsalice insegnava Filosofia, Storia e Storia dell’Arte, riuscendo, con questo inedito monte ore, a connettere le tre materie insieme: un mix intellettualmente intrigante. E poi all’Università ci pensarono un paio di straordinari insegnanti a chiudere il cerchio: Lorenzo Mellini e Gianni Carlo Sciolla su tutti.
Quanto sono stati importanti lo studio, la formazione, la caparbietà per il successo che ha ottenuto negli ambiti lavorativi? So che non è facile ma, se le fa piacere, ci può raccontare qualcosa della sua infanzia? Restando poi sul sentimentale può confessarci quanto Torino sia stata importante nel suo percorso di vita? Studio, formazione e passione sicuramente, caparbietà nel senso che ho creduto fosse possibile arrivarci e ci ho messo determinazione. Ma non sono mai stato ambizioso e tantomeno arrivista, e piuttosto presto ho imparato che purtroppo non è sufficiente essere capace o esser bravo per affermarsi. La mia infanzia non è stata facilissima perché ho perso il papà a tre anni. E questo evento, come penso sia facile comprendere, ha causato tanti squilibri e non pochi problemi. Torino è stata ed è la mia città (com’è la mia squadra…). Non mi sono mai voluto muovere di qui. I miei affetti, le mie radici sono qua. Se fossi rimasto a Roma quando vinsi il concorso in Rai, probabilmente sarei ancora lì: ma feci il possibile per trasmettere per ogni contratto da Torino; forse questo è stato un errore per la mia vita lavorativa.
Sta pensando, scrivendo o organizzando cose nuove? Proseguo nei due progetti a cui tengo: il premio Carlo U. Rossi e il museo per Giansone. Vorrei tanto promuovere l’istruzione artistica cercando di aiutare il liceo Passoni, dove ho insegnato ininterrotamente dal 1989 al 2020, a rendere pubblica la straordinaria collezione di abiti e costumi che merita un museo. E avrei desiderio di scrivere un paio di libri che raccontino della passione della musica a Torino, alimentata da alcune persone…non dico altro, ma per scaramanzia.
Per finire ci racconti di questo periodo tremendo del virus ormai lasciato, speriamo, alle spalle. Ha avuto esperienze particolari, paure, tristezze o gioie inaspettate da raccontare? Cosa rimarrà nel suo cuore dei lunghi giorni passati in quarantena? Con quali speranze e desideri l’uomo Marco Basso sta tornando alla vita normale, se mai la vita ritornerà normale? E’ stato un periodo tremendo, per i lutti che ha portato e poi per aver sconnesso la vita di tutti: a chi più, a chi meno, ma a tutti ha lasciato un marchio indelebile. Devo dire che ho avvertito un altro elemento drammatico: aver diviso e contrapposto duramente le persone tra vax e non vax: quasi una guerra civile che ha visto addirittura disintegrare amicizie fraterne. Terribile. Da insegnante sono invece felice che sia stata accolta la mia idea di modificare nell’anno del covid la maturità con una commissione interna e un presidente esterno: ancora non ci credo che seguendo l’iter ministeriale sia stata accettata; così i ragazzi non sono stati penalizzati dalle lezioni da remoto e i voti sono stati garantiti dal loro iter scolastico, ben noto ai propri docenti. E non ultimo c’è stato un notevole risparmio di denaro in un momento in cui i soldi servivano per ben altro.
Infine, le chiedo gentilmente di fare un saluto ai nostri lettori che, da oggi, avranno un amico in più. Sono grato a te Claudio di avermi permesso di raccontarmi come mai mi era successo e ancor di più a chi ha avuto la pazienza di leggermi fin qui. Si condivide con gli amici: e tali considero tutti voi. Un grande abbraccio. Marco Basso.