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Incontro con il Maestro Pierluigi Mucciolo

Incontro il Maestro Pierluigi Mucciolo, uno di più famosi trombettisti italiani, nella bella piazza di Vinovo, in questo freddo dicembre. Passeggiando tra la nebbia che sta scendendo nelle prime ombre serali, discorriamo come vecchi amici. In realtà sono sinceramente colpito dalla personalità del Maestro e dalla sua eloquenza. La sua storia, l’emozionante carriera nell’ambito musicale, oltre ad impressionarmi per i nomi citati ed i ricordi evocati, mi coinvolge personalmente, mi intriga. Vorrei saperne di più, ed il maestro con l’abilità narrativa che lo contraddistingue, riesce a farmi catturare nella mente immagini, suoni, sensazioni meravigliose, legate ai ricordi di tutta la mia vita. Le nostre emozioni, sono convinto, nascono dall’anima e dal confronto con i nostri cinque sensi e, spesso, per me e per tanti di noi, la musica ascoltata o anche solo evocata in certi attimi della nostra esistenza si lega a filo doppio con la nostra anima. Sapere che il signore con cui sto parlando fa parte, in qualche modo, di quei mondi sonori che hanno segnato la mia vita mi appassiona particolarmente, e vorrei che un minimo dei miei brividi riuscisse ad arrivare ai lettori.  

Iniziamo a presentarci. Chi è Pierluigi Mucciolo? Ci disegni il suo autoritratto.
Nasco a Torino, nel 1952. Passo l’infanzia in città, fin quando, intorno agli otto anni, visto che sono un pochettino vivace, durante un esperimento chimico, fatto in casa da solo, riesco a dare, praticamente, fuoco alla casa. Mio papà, che è autista, passando di fronte alla nostra abitazione, vede dalla strada le fiamme uscire dalla nostra finestra e si precipita a salvare me e la casa. Naturalmente finisco in collegio, e lì, oltre a giocare a pallone e studiare, mi viene offerta l’opportunità di imparare a suonare uno strumento per entrare a far parte della piccola orchestra del collegio. Da allora la tromba sarà mia compagna di studi, di sforzi, di miglioramenti e studio, e di grandi, enormi soddisfazioni. A sedici, diciassette anni, innamorato dello strumento a della musica, appassionato dai nuovi ritmi e dalle opportunità entro a fare parte di orchestre da ballo e di gruppi che suonano in balere e night club. A quell’epoca Torino è piena di locali, in ogni posto si suona, si balla, ci si diverte e non mancano le occasioni per guadagnare qualcosa dalla musica. I contratti si susseguono, le amicizie si cementano, le notti si fanno sempre più lunghe, anche se al mattino occorre andare a scuola ed al pomeriggio la passione per il calcio è ancora forte e mi ritrovo a vestire anche la maglia delle giovanili del Torino. Per anni, credetemi, non sono riuscito a trovare il tempo di dormire. Non facevo che vivere intensamente e frequentare e lavorare con molte orchestre torinesi finché nel 1970 (sì, avevo giusto quasi vent’anni ed una discreta esperienza) mi ritrovo a Milano a firmare un contratto in esclusiva con la famosa casa discografica Numero Uno. In quei tempi la collaborazione con il chitarrista torinese Umberto Tozzi ed il sassofonista friulano Claudio Pascoli si cementa, sotto l’ala del direttore della casa discografica, il mitico Claudio Fabi. Qui inizia la mia vera carriera ed inizio a suonare nei dischi di Adriano Pappalardo, Bruno Lauzi, Tony Renis, Ivan Graziani, degli Area, della PFM e, naturalmente, di Lucio Battisti (a partire dal mio Canto Libero). Finiti i tre anni di contratto (alla veneranda età di 23 anni) mi svincolo dalla Numero Uno ed inizio a lavorare come turnista, continuando a suonare con tutti gli amici citati più altri, quali Mina, Celentano, Ornella Vanoni, Bobby Solo, Enzo Avitabile, Enzo Jannacci, Umberto Tozzi, Fabio Concato, Fabrizio De André, Dori Ghezzi, Zucchero Fornaciari, Loredana Bertè e Donatella Rettore, e chissà quanti altri che non ricordo. In quel periodo, non certo breve, comunque intenso di lavoro, emozioni e soddisfazioni, mi ritrovo spesso in tournee, in Germania con Celentano e Milva, a Beirut con Loredana Bertè. Poi sono in giro per l’Italia, con tanti importanti artisti, con i Pooh, con il mitico Pat Boone (quello di Speedy Gonzales), e, soprattutto, ho l’onore di suonare le dieci date del tour italiano di Frank Sinatra. Devo dire che nel 1975 mi sono anche laureato in Amministrazione Industriale, poi ho anche seguito gli studi al Conservatorio per il diploma di Tromba. La musica leggera, il pop, mi hanno dato molte soddisfazioni, ma anche con il jazz ho avuto bei successi, visto che ho lavorato e studiato molto con Gianni Negro, ho suonato nella Big band di Gianni Basso, lavorato con il gruppo progressive torinese gli Arti e Mestieri ed ho condotto con Diego Borotti (vero leader della formazione) la Big Band Freestyle Orchestra.
Inoltre, ho suonato con l’Orchestra di Don Costa (famosissimo arrangiatore e papà di Nikka), nell’orchestra ritmica della Rai di Roma, in quella sinfonica della Rai di Torino e nella prestigiosa orchestra lirica del Teatro regio di Torino. Ora sono in pensione, dopo avere anche insegnato Educazione Musicale nelle medie, ma non smetto, e non smetterò mai, di interessarmi di musica. Ora sono il direttore artistico dell’orchestra VMP, big band che ha già all’attivo di 150 concerti. Dal gennaio del 2020 sono anche direttore artistico della Filarmonica di Moncalieri.


Una carriera a dir poco meravigliosa direi. Certo ai nostri lettori farebbe piacere conoscere alcuni aneddoti riguardanti le tournee, gli spettacoli, le esibizioni che lei ha condiviso sul palco con tutti gli artisti della musica leggera italiana.
Non basterebbe un libro, certamente (magari lo scriviamo assieme n.d.r.). Ho ricordi splendidi legati a grandi eventi e tutti quei grandi artisti. Certo, da ragazzo, essere in sala d’incisione con Lucio Battisti ed aiutare i musicisti con arrangiamenti particolari era una emozione splendida. Ma, veramente, la mia soddisfazione più grande è quella legata all’oggi, al momento che vivo, sempre intensamente e con il massimo impegno. Non vedo l’ora di ritornare sul palco a suonare per il pubblico, a portare le musica nell’anima della gente.


Tornare. Cosa ha significato per lei la vicenda Covid, la clausura, l’isolamento?
È stato tremendo. Oltre all’ansia dovuta ai motivi riguardanti l’ambito della salute personale, tutto il mondo della musica ha vissuto quest’anno passato come una tragedia dai contorni deprimenti e dagli effetti devastanti. Un vero e proprio tsunami si è abbattuto sulla Cultura e sulla Musica. La chiusura dei Teatri, la sospensione delle attività legate all’insegnamento, alla pratica musicale e teatrale, ha colpito veramente il cuore della passione e della professionalità di molti addetti ai lavori. Troppi musicisti, travolti dalla crisi e dalla consapevolezza che tutto non sarà mai più come prima, hanno cambiato lavoro, cercato alternative. Personalmente ho la fortuna d’aver predisposto a casa una vera e propria sala di registrazione, in cui sono riuscito a continuare le mie attività. Ho scritto musica, ho arrangiato, ho cercato di restare in contatto con i miei colleghi, con gli studenti e con i componenti dei gruppi che dirigo, ma, credetemi, non è stato facile. Non molti ci pensano ma la musica è aggregazione. Le filarmoniche, le bande, i gruppi musicali, formati spesso da dilettanti, sono, quasi sempre, una grande risorsa di solidificazione sociale, di incontro tra generazioni e di insegnamento morale e culturale. Quest’anno è passato con tutto chiuso, senza la possibilità di incontrarsi, non solo di suonare ma di crescere assieme. Vede, per il direttore, osservare la totalità dell’orchestra crescere e progredire nella realizzazione di un pezzo, di un concerto, è una grande soddisfazione. Ed è bello poter adattare a ciascun strumentista (sia il grande professionista o il dilettante che riesce a prendere lo strumento in mano una sola ora alla settimana) gli arrangiamenti, le orchestrazioni, in modo da costruire un suono globale di grande impatto sul pubblico, che tenga conto delle possibilità e delle capacità del gruppo. Non tutti nasciamo Mozart, ma la costanza, l’impegno e la comprensione delle proprie capacità musicali (artistiche direi) fa crescere la soddisfazione e migliorare i risultati. Bene, quest’anno, questo lavoro, praticamente, non si è potuto fare. L’isolamento, la paura, il coprifuoco, hanno distrutto non solo economicamente molte nostre attività.


Lo scenario è triste. Lei cosa proporrebbe?
Ha ragione il Maestro Muti. Riapriamo i Teatri. C’è la necessità di riportare la Cultura al centro di molti progetti. Il Turismo, la coscienza popolare, l’istruzione, la socialità. Riapriamo i Teatri e diamo di nuovo fiato alle trombe, voce ai cantanti, parole da recitare agli attori, lacrime, risate ed emozioni forti al pubblico. Riapriamo, e ritorniamo a vivere.


Per finire. Sta preparando qualcosa di nuovo, ha progetti in testa che vorrebbe realizzare?
Ogni giorno è importante. Sto cercando di tenere in forma i miei allievi, i miei colleghi della filarmonica e quelli delle orchestre con cui ho rapporti. Alleno i musicisti a piccoli gruppi: prima le trombe, poi i sassofoni, i flauti come un allenatore di calcio fa con la difesa e l’attacco. Preparo le tattiche, i suoni. Un impegno grande ma piacevole, anche se fatto spesso via web. Sto preparando concerti e arrangiamenti per la mia Big Band, per farmi trovare pronto quando, magari tra non molto tempo, tutto sarà finito e si potrà tornare a vivere liberamente.
Sì, perché la musica è vita.
Passerei, come credo molti lettori, ore ed ore ad ascoltare il maestro. Ma sta scendendo il buio della sera e la nebbia inizia ad avvolgere Vinovo.
Il Maestro ha raccontato la sua vita piena di musica, emozione e amore. Ci ha detto dell’impegno necessario profuso per migliorarsi, della passione, dell’abnegazione e del tanto, tantissimo tempo dedicato allo studio. La musica è fatica, e nel caso del trombettista la fatica è oltremodo anche fisica. Occorre essere in forma, sempre, ed avere un “fisico bestiale”.
Sono particolarmente felice d’aver conosciuto il Maestro e di aver fatto conoscere un po’ della sua storia e del suo impegno alle lettrici ed ai lettori di questa rivista.
Ringrazio ancora il Maestro Pierluigi Mucciolo ed aspetto, speranzoso, che tutto torni normale, ed i teatri, i locali e le nostre piazze si riempiano, di nuovo, di bella musica. Lo meritiamo.

Claudio Calzoni  
    

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