Intervista a Flavio DECLAME
Flavio Declame si presenta al termine di una commedia in un piccolo teatro adattato all'interno di una chiesa sconsacrata. Prima di questa esperienza ne avevo vissuto un'altra simile con il film (tratto dall'omonima canzone) Alice's restaurant di Arlo Guthrie e respiro molte delle atmosfere tipiche degli anni '60. Solo che i ribelli che si ostinano a mantenere in vita antiche e primigenie forme di espressione Culturale e Comunità fatte di persone non sono dei giovani hippy bensì un nutrito gruppo di "diversamente giovani". Come da accordi, lo intervisto per La Gazzetta di Hogwords.
Parlaci di te, Flavio, fatti conoscere dai nostri lettori, raccontaci chi sei e quale ritieni sia la tua missione nella vita.
Parlare di me... Non ne sono abituato ma ci proverò.
Sono nato nel 1958 a Scalenghe, dove vivo tutt’ora e dove le mie radici hanno raggiunto una profondità tale da risultare difficilmente estirpabili, anche perché non ho alcuna intenzione di estirparle perché mi trovo troppo bene. Formazione scolastica all’Istituto Avogadro di Torino dove mi sono diplomato nel 1977 Perito Elettrotecnico e una vita lavorativa passata a fare il tecnico di apparecchiature per laboratori orafi e odontotecnici. Sicuramente un lavoro molto interessante, di nicchia, che mi ha portato sovente anche in giro per il mondo a presentare le apparecchiature in qualche expo o in soccorso a clienti disperati con macchinari fermi, oppure per tenere corsi di formazione a tecnici locali proprio per evitare continue trasferte pesanti e dispendiose.
Dal 2020 sono in pensione e proprio questa nuova condizione mi ha ridato lo stimolo alla scrittura. Ridato perché dal 2001 scrivo commedie dialettali che vengono rappresentate dalla compagnia teatrale “Na pugnà d’amis” di Scalenghe di cui sono anche presidente oltre che autore e regista dei lavori, ma il salto da commedia a libro, che richiede una diversa impostazione ovviamente di scrittura è avvenuta solo negli ultimi due anni, per arrivare al parto e alla pubblicazione da parte della Casa Editrice Hogwords de “Il mistero del Biarlass”.
La mia missione nella vita è una domanda molto interessante, anche se ho difficoltà a rispondere per cui la riformulo e me la pongo in questo modo: come vedi ciò che fino a questo momento ti è accaduto e cosa speri ti possa ancora accadere?
Mi è accaduto d’avere una vita interessantissima. A 22 anni ho messo su famiglia convinto di cosa stavo facendo e ancora oggi questa unione dura felicemente, ne è nata una figlia quasi 39 anni fa che ci ha regalato un nipotino fantastico. Viviamo in campagna, lontani dal traffico e dai rumori molesti di una città, amiamo tantissimo viaggiare e ancora oggi appena si presenta la possibilità saltiamo su un aereo e andiamo a scoprire un pezzettino di mondo che ancora non conosciamo.
Adoro camminare in montagna. Con due amici tutte le settimane, estate e inverno puntualmente calziamo scarponi, zaino in spalla e saliamo in quota. D’estate più in alto, sovente sopra i 3000 metri, d’inverno ci accontentiamo di mete più alla portata, ma l’importante è non stare fermi, non lasciare che i muscoli diventino pigri.
Frequento una palestra di arti marziali. Scoprire l’Aikido è stato come scoprire un mondo parallelo, di cui conoscevo l’esistenza ma sul quale non mi ero mai affacciato. Che non è compiacimento nell’atterrare il tuo compagno di corso, non è in alcun modo la ricerca della violenza, non voglio neanche pensarci, semplicemente è stato conoscere una disciplina che insegna, con regole molto rigide, a non usarla mai. O almeno cercare tutte le vie per non usarla. Ma se proprio ne va della propria o altrui incolumità si possono affrontare le situazioni con lucidità e senza timore.
La musica ha sempre rappresentato una parte importantissima della mia vita. Fin da ragazzo mi sono appassionato alle canzoni di Fabrizio de André e Francesco Guccini, le conosco tutte, hanno accompagnato la mia giovinezza e la maturità, man mano aggiungendo altri cantanti e autori, sempre scelti per le capacità di trasmettere emozioni. Con le parole, con la musica, con la profondità dei loro lavori. Adoro la poesia e la voce incredibile di Fabrizio e la capacità di Francesco di condensare in una frase concetti che le persone normali come me riescono a spiegare solo con cascate di parole.
Due geni.
Di Fabrizio, con un gruppo vocale fantastico abbiamo portato in scena “La buona Novella”, ci siamo dovuti arrendere solo alla tragedia d’aver perso due amici che facevano parte dello spettacolo, non ci siamo più ripresi e non ci sembrava giusto continuare senza di loro.
Già, perché tra le altre cose mi piace suonare la chitarra, il basso elettrico e cantare. Faccio parte della “Piccola corale di Scalenghe”, portiamo avanti da vent’anni ormai canti popolari arrangiati a 4 voci per coro polifonico misto, esperienza che dura tutt’ora con una soddisfazione enorme.
Questo è quanto fino a questo punto della vita mi è accaduto. Per il futuro mi auguro semplicemente una cosa: che la curiosità non mi abbandoni mai. Parlo della curiosità sana, che ti porta sempre a scoprire cosa si nasconde dietro l’angolo, che ti porta a voler conoscere ciò che non conosci, che ti fa sentire vivo.
Non so se questa aspirazione si possa chiamare “missione”, ma non ne conosco altre.
Da un punto di vista Culturale, cosa fai, a quali eventi partecipi e cosa comporta tutto ciò?
Mi piace tutto ciò che è espressione artistica, teatro, musica, concerti, mostre di arte varia, musei, libri ecc ecc.
Mi piace con la nostra compagnia portare avanti la cultura Piemontese, la lingua che sta scomparendo, mi piace vedere gli spettatori che si divertono, che ridono, che alla fine dello spettacolo ci dicono bravi… ci avete fatto trascorrere due ore in allegria, ma allegria sana, non quella della risata vuota.
Mi piace cantare col coro, affrontare la difficoltà della polifonia, mi piace il confronto con cori amici per scoprire tra le pieghe dell’altro una sfumatura in un canto che a noi era sfuggita, mi piace il clima di amicizia che conclude le esibizioni, sempre assolutamente davanti a un piccolo rinfresco, un bicchiere di vino, due risate.
Mi piace suonare e cantare con gli amici, magari al termine di una serata in allegria e sentirti il giorno dopo rauco ma felice.
Mi piace leggere, ho una discreta biblioteca che non sono solo dorsi di libri che mi guardano, ma nella quasi totalità libri che ho letto. Alcuni non mi hanno lasciato nulla, altri mi hanno segnato a vita.
Mi piace vedere chi si mette in gioco, chi non ha paura di dire “questo l’ho fatto o l’ho pensato io…” e non ha paura di proporlo correndo il rischio che non sia apprezzato, mi piace chi non ferma mai il cervello, chi non lo parcheggia davanti a tv o social diventando un fruitore passivo della vita.
Per alcuni anni ho fatto l’abbonamento a un tot di spettacoli in tre teatri di Torino, Alfieri, Gioiello ed Erba, poi siamo stati fermati dalla pandemia ma ora conto di ricominciare. È una cosa che mi piace moltissimo, mi piace osservare i professionisti del palcoscenico, come si muovono, come si esprimono. Ho avuto veramente occasione di vedere dei “mostri” che avrebbero arte e capacità da vendere anche ai presunti “artisti” che vantano la propria in base al numero di follower sui social.
Vorrei uscire un po’ dal solco della domanda, ma è una cosa che mi sta veramente a cuore e mi riallaccio a quanto appena scritto: non sopporto questi ultimi. I geni dell’immagine, i leoni dei social che sovente impropriamente vengono chiamati “artisti”, ma che dell’arte non hanno nulla. Intelligentissimi, scaltri, ma non artisti. Un artista, secondo me, è una persona che sa proporre un qualcosa, una canzone, un quadro, un libro, una qualsiasi espressione dell’intelletto o dell’abilità delle mani che colpisca per la sua bellezza e per la sua difficoltà ad essere replicato dal fruitore.
Provo a spiegare la mia idea con un esempio: “Il cielo in una stanza” è un capolavoro, un brano di musica anonima partorita con l’aiuto di un programma pc, che magari spopola sul web, non lo è. Si potrà definire un ottimo “prodotto”, ma non sarà mai un capolavoro artistico.
È, secondo me, la differenza tra il capolavoro e la fuffa ben confezionata.
Sono uscito abbondantemente dal tema. Fossi ancora a scuola mi sarebbe toccato un commento in rosso da parte dell’insegnante. Ma parlare di sé stessi è anche seguire il filo dei pensieri e collegare tra di loro argomenti che paiono lontani.
Per finire e ricollegarmi alla domanda, non so se tutto ciò sia comunemente ciò che si intende per “cultura”: è semplicemente la mia vita e il mio modo di concepire lo scorrere del tempo senza sprecarlo.
Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?
Mi piacerebbe che un’altra compagnia teatrale mettesse in scena una mia commedia ma purtroppo sono sempre meno sia gli attori che ancora sanno recitare in lingua Piemontese, sia gli spettatori che ancora lo comprendono. Per questo motivo è un mondo e una fetta di cultura che nell’arco di pochi anni andrà a scomparire.
E poi mi piacerebbe riprovare l’emozione che ho sentito alla presentazione del libro a Scalenghe, al momento prima e unica, dove ho sentito veramente l’orgoglio d’essere riuscito in un qualcosa che mai avrei immaginato.
Magari con un altro libro, chissà…
Ho lasciato per ultimo il sogno di due viaggi che non sono mai riuscito a fare e spero ardentemente di poter estrarre dal cassetto sotto forma di biglietti d’aereo: attraversare tutta l’Argentina e gli Stati Uniti. Uno già progettato, solo in attesa della partenza e cancellato brutalmente dalla pandemia, l’altro al momento solo sognato.
Ci sarà tempo. Il cassetto è sempre pronto per essere aperto.
Qual è il tuo ricordo artistico più bello?
Uno indelebile perché non da spettatore, ma da protagonista: al teatro Selve di Vigone, un gioiello di teatro ottocentesco, aprire “La buona Novella” cantando da solo, senza accompagnamento musicale, con tutti gli occhi delle persone puntati addosso. Una delle mie emozioni più intense.
Dal punto di vista spettatore il mio primo concerto, targato 1974, protagonista Angelo Branduardi. La prima volta a cui assistevo a un evento del genere. Ero folgorato, completamente rapito da uno spettacolo per me nuovo. Emozione che poi si è ripetuta decine di volte, con tanti artisti diversi, ma come ogni prima volta il ricordo, QUEL ricordo mi ha segnato e rimarrà per sempre.
Per quanto riguarda il mio rapporto coi libri, il più bel ricordo che ancora oggi mi segue a distanza, credo di cinquant’anni, è quando, trovandomi tra le mani “L’Antologia di Spoon River” di Masters mi sono trovato a leggere la poesia dedicata a Francis Turner. Una folgorazione, non so definirla diversamente. E da quel momento la consapevolezza che nulla può e potrà mai sostituire la forza che un buon libro possiede. Se poi parliamo di capolavori tutto diventa ancora più facile.
Se parliamo di teatro, il ricordo più emozionante quando con la nostra compagnia abbiamo rappresentato la mia prima commedia. La trepidazione nell’attendere la reazione del pubblico, l’ansia che come sempre precede l’apertura del sipario per poi svanire nel primo applauso, nelle risate che addirittura coprivano le battute, beh… come dimenticarlo?
Te la senti di lanciare dei consigli per i tuoi fan?
Già questo termine mi spaventa, pensare d’avere dei fan presuppone d’essere conosciuti oppure famosi, condizione che sicuramente non mi appartiene. Mi piace di più pensarmi come uno che ha già vissuto abbastanza per permettersi qualche riflessione o consiglio.
Quello che più mi appartiene e che mi permetto di condividere, deriva dal fatto che è quanto io cerco di attuare con me stesso da sempre: non farsi mai scorrere la vita addosso. Pensare sempre che il tempo è un bene troppo prezioso e purtroppo limitato per permettersi di sprecarlo. Quando una persona acquista questa consapevolezza tutto prende una valenza diversa. Dal compiere i gesti più comuni, a fare un qualcosa di unico e irripetibile, al coltivare i propri interessi col gusto di star facendo un qualcosa che ti sta portando una ricchezza dentro.
Ecco, questo mi sento di consigliare.
Sali sulla macchina del tempo e va nel futuro. Dove ti vedremo noi che possiamo raggiungerti solo un secondo per volta? E cosa starai facendo?
Ci sono buone possibilità che mi possiate trovare in giro per il mondo a scoprire angoli bellissimi, città, pianure, montagne, perché io penso che tutto ciò che non si conosce valga la pena d’essere visto. Potreste anche trovarmi in giardino con un buon libro in mano o in montagna con zaino e scarponi, e, se ancora le forze saranno dalla mia parte, in palestra col kimono a imparare nuove proiezioni dell’avversario (è un modo di dire…) a tappeto.
Può anche darsi mi troviate a discutere con qualche spocchioso cittadino, di quelli che guardano la provincia dall’alto in basso (e sono tanti, credetemi…) che fanno espressioni di estrema sorpresa quando uno cerca di fargli capire che esiste cultura anche in un paesino di poche anime.
Purtroppo non sempre comprendono.
Anzi, quasi mai.
La potenza della spocchia. Quella derivata dal sentirsi superiori in base semplicemente al luogo di provenienza, difficilissima da estirpare. E dato che mi irrita moltissimo, quando incontro uno di questi personaggi non mi trattengo e finisco sempre per esporre in modo “colorito” la mia idea.
In quale modo la Casa Editrice Hogwords potrebbe esserti d’aiuto in futuro?
Cercando di non cadere mai in quanto detto nella parte finale della risposta precedente.
Non ti resta che salutare i nostri lettori...
Grazie a tutti voi che avete avuto la pazienza di sorbirvi un po’ della mia vita, vi invito, se vi va, di leggere “Il mistero del Biarlasss” e vi lascio con un augurio che dovrebbe accompagnare ciascuno di noi.
Lasciate volare la fantasia.
Sempre.
Seguo le tracce del Biarlass, dopo aver salutato e ringraziato Flavio e ritorno in Redazione con in testa la profonda convinzione di aver conosciuto una gran persona, prima ancora che un grande Autore Letterario o Regista Teatrale.
Pier-Giorgio Tomatis
Scrittore
Parlaci di te, Flavio, fatti conoscere dai nostri lettori, raccontaci chi sei e quale ritieni sia la tua missione nella vita.
Parlare di me... Non ne sono abituato ma ci proverò.
Sono nato nel 1958 a Scalenghe, dove vivo tutt’ora e dove le mie radici hanno raggiunto una profondità tale da risultare difficilmente estirpabili, anche perché non ho alcuna intenzione di estirparle perché mi trovo troppo bene. Formazione scolastica all’Istituto Avogadro di Torino dove mi sono diplomato nel 1977 Perito Elettrotecnico e una vita lavorativa passata a fare il tecnico di apparecchiature per laboratori orafi e odontotecnici. Sicuramente un lavoro molto interessante, di nicchia, che mi ha portato sovente anche in giro per il mondo a presentare le apparecchiature in qualche expo o in soccorso a clienti disperati con macchinari fermi, oppure per tenere corsi di formazione a tecnici locali proprio per evitare continue trasferte pesanti e dispendiose.
Dal 2020 sono in pensione e proprio questa nuova condizione mi ha ridato lo stimolo alla scrittura. Ridato perché dal 2001 scrivo commedie dialettali che vengono rappresentate dalla compagnia teatrale “Na pugnà d’amis” di Scalenghe di cui sono anche presidente oltre che autore e regista dei lavori, ma il salto da commedia a libro, che richiede una diversa impostazione ovviamente di scrittura è avvenuta solo negli ultimi due anni, per arrivare al parto e alla pubblicazione da parte della Casa Editrice Hogwords de “Il mistero del Biarlass”.
La mia missione nella vita è una domanda molto interessante, anche se ho difficoltà a rispondere per cui la riformulo e me la pongo in questo modo: come vedi ciò che fino a questo momento ti è accaduto e cosa speri ti possa ancora accadere?
Mi è accaduto d’avere una vita interessantissima. A 22 anni ho messo su famiglia convinto di cosa stavo facendo e ancora oggi questa unione dura felicemente, ne è nata una figlia quasi 39 anni fa che ci ha regalato un nipotino fantastico. Viviamo in campagna, lontani dal traffico e dai rumori molesti di una città, amiamo tantissimo viaggiare e ancora oggi appena si presenta la possibilità saltiamo su un aereo e andiamo a scoprire un pezzettino di mondo che ancora non conosciamo.
Adoro camminare in montagna. Con due amici tutte le settimane, estate e inverno puntualmente calziamo scarponi, zaino in spalla e saliamo in quota. D’estate più in alto, sovente sopra i 3000 metri, d’inverno ci accontentiamo di mete più alla portata, ma l’importante è non stare fermi, non lasciare che i muscoli diventino pigri.
Frequento una palestra di arti marziali. Scoprire l’Aikido è stato come scoprire un mondo parallelo, di cui conoscevo l’esistenza ma sul quale non mi ero mai affacciato. Che non è compiacimento nell’atterrare il tuo compagno di corso, non è in alcun modo la ricerca della violenza, non voglio neanche pensarci, semplicemente è stato conoscere una disciplina che insegna, con regole molto rigide, a non usarla mai. O almeno cercare tutte le vie per non usarla. Ma se proprio ne va della propria o altrui incolumità si possono affrontare le situazioni con lucidità e senza timore.
La musica ha sempre rappresentato una parte importantissima della mia vita. Fin da ragazzo mi sono appassionato alle canzoni di Fabrizio de André e Francesco Guccini, le conosco tutte, hanno accompagnato la mia giovinezza e la maturità, man mano aggiungendo altri cantanti e autori, sempre scelti per le capacità di trasmettere emozioni. Con le parole, con la musica, con la profondità dei loro lavori. Adoro la poesia e la voce incredibile di Fabrizio e la capacità di Francesco di condensare in una frase concetti che le persone normali come me riescono a spiegare solo con cascate di parole.
Due geni.
Di Fabrizio, con un gruppo vocale fantastico abbiamo portato in scena “La buona Novella”, ci siamo dovuti arrendere solo alla tragedia d’aver perso due amici che facevano parte dello spettacolo, non ci siamo più ripresi e non ci sembrava giusto continuare senza di loro.
Già, perché tra le altre cose mi piace suonare la chitarra, il basso elettrico e cantare. Faccio parte della “Piccola corale di Scalenghe”, portiamo avanti da vent’anni ormai canti popolari arrangiati a 4 voci per coro polifonico misto, esperienza che dura tutt’ora con una soddisfazione enorme.
Questo è quanto fino a questo punto della vita mi è accaduto. Per il futuro mi auguro semplicemente una cosa: che la curiosità non mi abbandoni mai. Parlo della curiosità sana, che ti porta sempre a scoprire cosa si nasconde dietro l’angolo, che ti porta a voler conoscere ciò che non conosci, che ti fa sentire vivo.
Non so se questa aspirazione si possa chiamare “missione”, ma non ne conosco altre.
Da un punto di vista Culturale, cosa fai, a quali eventi partecipi e cosa comporta tutto ciò?
Mi piace tutto ciò che è espressione artistica, teatro, musica, concerti, mostre di arte varia, musei, libri ecc ecc.
Mi piace con la nostra compagnia portare avanti la cultura Piemontese, la lingua che sta scomparendo, mi piace vedere gli spettatori che si divertono, che ridono, che alla fine dello spettacolo ci dicono bravi… ci avete fatto trascorrere due ore in allegria, ma allegria sana, non quella della risata vuota.
Mi piace cantare col coro, affrontare la difficoltà della polifonia, mi piace il confronto con cori amici per scoprire tra le pieghe dell’altro una sfumatura in un canto che a noi era sfuggita, mi piace il clima di amicizia che conclude le esibizioni, sempre assolutamente davanti a un piccolo rinfresco, un bicchiere di vino, due risate.
Mi piace suonare e cantare con gli amici, magari al termine di una serata in allegria e sentirti il giorno dopo rauco ma felice.
Mi piace leggere, ho una discreta biblioteca che non sono solo dorsi di libri che mi guardano, ma nella quasi totalità libri che ho letto. Alcuni non mi hanno lasciato nulla, altri mi hanno segnato a vita.
Mi piace vedere chi si mette in gioco, chi non ha paura di dire “questo l’ho fatto o l’ho pensato io…” e non ha paura di proporlo correndo il rischio che non sia apprezzato, mi piace chi non ferma mai il cervello, chi non lo parcheggia davanti a tv o social diventando un fruitore passivo della vita.
Per alcuni anni ho fatto l’abbonamento a un tot di spettacoli in tre teatri di Torino, Alfieri, Gioiello ed Erba, poi siamo stati fermati dalla pandemia ma ora conto di ricominciare. È una cosa che mi piace moltissimo, mi piace osservare i professionisti del palcoscenico, come si muovono, come si esprimono. Ho avuto veramente occasione di vedere dei “mostri” che avrebbero arte e capacità da vendere anche ai presunti “artisti” che vantano la propria in base al numero di follower sui social.
Vorrei uscire un po’ dal solco della domanda, ma è una cosa che mi sta veramente a cuore e mi riallaccio a quanto appena scritto: non sopporto questi ultimi. I geni dell’immagine, i leoni dei social che sovente impropriamente vengono chiamati “artisti”, ma che dell’arte non hanno nulla. Intelligentissimi, scaltri, ma non artisti. Un artista, secondo me, è una persona che sa proporre un qualcosa, una canzone, un quadro, un libro, una qualsiasi espressione dell’intelletto o dell’abilità delle mani che colpisca per la sua bellezza e per la sua difficoltà ad essere replicato dal fruitore.
Provo a spiegare la mia idea con un esempio: “Il cielo in una stanza” è un capolavoro, un brano di musica anonima partorita con l’aiuto di un programma pc, che magari spopola sul web, non lo è. Si potrà definire un ottimo “prodotto”, ma non sarà mai un capolavoro artistico.
È, secondo me, la differenza tra il capolavoro e la fuffa ben confezionata.
Sono uscito abbondantemente dal tema. Fossi ancora a scuola mi sarebbe toccato un commento in rosso da parte dell’insegnante. Ma parlare di sé stessi è anche seguire il filo dei pensieri e collegare tra di loro argomenti che paiono lontani.
Per finire e ricollegarmi alla domanda, non so se tutto ciò sia comunemente ciò che si intende per “cultura”: è semplicemente la mia vita e il mio modo di concepire lo scorrere del tempo senza sprecarlo.
Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?
Mi piacerebbe che un’altra compagnia teatrale mettesse in scena una mia commedia ma purtroppo sono sempre meno sia gli attori che ancora sanno recitare in lingua Piemontese, sia gli spettatori che ancora lo comprendono. Per questo motivo è un mondo e una fetta di cultura che nell’arco di pochi anni andrà a scomparire.
E poi mi piacerebbe riprovare l’emozione che ho sentito alla presentazione del libro a Scalenghe, al momento prima e unica, dove ho sentito veramente l’orgoglio d’essere riuscito in un qualcosa che mai avrei immaginato.
Magari con un altro libro, chissà…
Ho lasciato per ultimo il sogno di due viaggi che non sono mai riuscito a fare e spero ardentemente di poter estrarre dal cassetto sotto forma di biglietti d’aereo: attraversare tutta l’Argentina e gli Stati Uniti. Uno già progettato, solo in attesa della partenza e cancellato brutalmente dalla pandemia, l’altro al momento solo sognato.
Ci sarà tempo. Il cassetto è sempre pronto per essere aperto.
Qual è il tuo ricordo artistico più bello?
Uno indelebile perché non da spettatore, ma da protagonista: al teatro Selve di Vigone, un gioiello di teatro ottocentesco, aprire “La buona Novella” cantando da solo, senza accompagnamento musicale, con tutti gli occhi delle persone puntati addosso. Una delle mie emozioni più intense.
Dal punto di vista spettatore il mio primo concerto, targato 1974, protagonista Angelo Branduardi. La prima volta a cui assistevo a un evento del genere. Ero folgorato, completamente rapito da uno spettacolo per me nuovo. Emozione che poi si è ripetuta decine di volte, con tanti artisti diversi, ma come ogni prima volta il ricordo, QUEL ricordo mi ha segnato e rimarrà per sempre.
Per quanto riguarda il mio rapporto coi libri, il più bel ricordo che ancora oggi mi segue a distanza, credo di cinquant’anni, è quando, trovandomi tra le mani “L’Antologia di Spoon River” di Masters mi sono trovato a leggere la poesia dedicata a Francis Turner. Una folgorazione, non so definirla diversamente. E da quel momento la consapevolezza che nulla può e potrà mai sostituire la forza che un buon libro possiede. Se poi parliamo di capolavori tutto diventa ancora più facile.
Se parliamo di teatro, il ricordo più emozionante quando con la nostra compagnia abbiamo rappresentato la mia prima commedia. La trepidazione nell’attendere la reazione del pubblico, l’ansia che come sempre precede l’apertura del sipario per poi svanire nel primo applauso, nelle risate che addirittura coprivano le battute, beh… come dimenticarlo?
Te la senti di lanciare dei consigli per i tuoi fan?
Già questo termine mi spaventa, pensare d’avere dei fan presuppone d’essere conosciuti oppure famosi, condizione che sicuramente non mi appartiene. Mi piace di più pensarmi come uno che ha già vissuto abbastanza per permettersi qualche riflessione o consiglio.
Quello che più mi appartiene e che mi permetto di condividere, deriva dal fatto che è quanto io cerco di attuare con me stesso da sempre: non farsi mai scorrere la vita addosso. Pensare sempre che il tempo è un bene troppo prezioso e purtroppo limitato per permettersi di sprecarlo. Quando una persona acquista questa consapevolezza tutto prende una valenza diversa. Dal compiere i gesti più comuni, a fare un qualcosa di unico e irripetibile, al coltivare i propri interessi col gusto di star facendo un qualcosa che ti sta portando una ricchezza dentro.
Ecco, questo mi sento di consigliare.
Sali sulla macchina del tempo e va nel futuro. Dove ti vedremo noi che possiamo raggiungerti solo un secondo per volta? E cosa starai facendo?
Ci sono buone possibilità che mi possiate trovare in giro per il mondo a scoprire angoli bellissimi, città, pianure, montagne, perché io penso che tutto ciò che non si conosce valga la pena d’essere visto. Potreste anche trovarmi in giardino con un buon libro in mano o in montagna con zaino e scarponi, e, se ancora le forze saranno dalla mia parte, in palestra col kimono a imparare nuove proiezioni dell’avversario (è un modo di dire…) a tappeto.
Può anche darsi mi troviate a discutere con qualche spocchioso cittadino, di quelli che guardano la provincia dall’alto in basso (e sono tanti, credetemi…) che fanno espressioni di estrema sorpresa quando uno cerca di fargli capire che esiste cultura anche in un paesino di poche anime.
Purtroppo non sempre comprendono.
Anzi, quasi mai.
La potenza della spocchia. Quella derivata dal sentirsi superiori in base semplicemente al luogo di provenienza, difficilissima da estirpare. E dato che mi irrita moltissimo, quando incontro uno di questi personaggi non mi trattengo e finisco sempre per esporre in modo “colorito” la mia idea.
In quale modo la Casa Editrice Hogwords potrebbe esserti d’aiuto in futuro?
Cercando di non cadere mai in quanto detto nella parte finale della risposta precedente.
Non ti resta che salutare i nostri lettori...
Grazie a tutti voi che avete avuto la pazienza di sorbirvi un po’ della mia vita, vi invito, se vi va, di leggere “Il mistero del Biarlasss” e vi lascio con un augurio che dovrebbe accompagnare ciascuno di noi.
Lasciate volare la fantasia.
Sempre.
Seguo le tracce del Biarlass, dopo aver salutato e ringraziato Flavio e ritorno in Redazione con in testa la profonda convinzione di aver conosciuto una gran persona, prima ancora che un grande Autore Letterario o Regista Teatrale.
Pier-Giorgio Tomatis
Scrittore