Intervista a Alessandro Corvaglia musicista e voce solista.Intervista ad Alessandro Corvaglia per la Gazzetta di Hogwords La musica ha sempre avuto un ruolo importante nella vita e nell’immaginario di ciascuno di noi. Inutile negarlo. Ognuno di noi ha avuto i suoi riferimenti musicali, i suoi idoli e le sue canzoni preferite, quelle da portarsi nel cuore per anni, spesso per una vita intera. In una notte stellata di qualche giorno fa ho avuto la fortuna di potere assistere al concerto dei “Delirium”, gruppo genovese che molti anni fa ha scritto la storia e raggiunto il successo quasi planetario con la realizzazione dell’album Dolce Acqua e, soprattutto, con la canzone Jesahel che, presentata al Festival di Sanremo del 1972, è diventata l’inno di una intera generazione. Dell’antica formazione (Mimmo Di Martino alla chitarra, Peppino Di Santo alla batteria, Marcello Reale al basso, Ettore Vigo alle tastiere e Ivano Fossati al flauto e voce solista) poco è rimasto. In realtà pochi mesi dopo il successo sanremese Ivano Fossati aveva lasciato il gruppo per motivi di leva militare, avviandosi ad una meravigliosa carriera solista. Il suo sostituto, al flauto ed al sax, fu l’inglese Martin Grice. Oggi, sul palco, per onorare i cinquant’anni dei deliranti e della musica progressiva italiana Ettore e Martin sono affiancati sul palco dal batterista Alfredo Vandresi, dal bassista Fabio Chighini, dal chitarrista Michele Cusato e dal cantante e polistrumentista Alessandro Corvaglia. Alessandro, come tutti i componenti del gruppo, è cortesissimo. Prima del concerto, appena finita la prova dei suoni, ci sediamo in un bel locale del quartiere di Pontedecimo arroccato sulla collina, vicini alla piazza che ospita il palco. Sorseggiando un buon aperitivo in compagnia faccio i complimenti ad Alessandro per il suo nuovo disco da solista appena uscito ed ascoltato in auto durante il viaggio che si intitola “Out of the gate”. E qui inizia l’intervista. Conosciamoci meglio, chi è Alessandro Corvaglia? Pur non chiedendole un curriculum vitae può raccontare ai nostri lettori le sue molteplici esperienze nell’ambito musicale ed artistico? Mi è sempre difficile condensare in poche righe più di 40 anni di vita artistica, in cui ovviamente - in quanto parte del Tutto - ricomprendo, e con molto affetto, i primi passi compiuti suonando con altri, che fra l’altro hanno visto anche il mio debutto come compositore di musiche e testi... ma ci provo, suddividendo il passato livornese (mia patria di origine e a tutt’oggi spirituale) da quello genovese. Ho iniziato a suonare, ad orecchio, sin da bambino muovendo le mani su qualsiasi strumento riuscissi a mettere le mani. Dopo due anni di studio del pianoforte, a 14 anni la prima esperienza di “band” e a 15 i primi passi come compositore di canzoni e testi. A 16 anni, parallelamente alla musica – ma sempre in relazione ad essa – sviluppo una collaborazione pluriennale con un gruppo teatrale (il Teatro Sperimentale Zero). A 19 anni nasce l’esperienza più educativa e costruttiva, i “Quasar” (in cui ricopro il ruolo di voce solista e tastierista), con cui ho imparato, grazie anche a diversi rapporti fondamentali con grandi produttori della musica italiana, i meccanismi dell’arrangiamento e la dinamica della preproduzione, volta all’epoca ad interessare (con profitto) le maggiori case discografiche nazionali. Dal 1990 la mia attività si concentra sul territorio genovese, per lo più incentrandosi su serate di “musica dal vivo” (improprio definirle “piano bar”), con una parentesi nel 1994 in cui affronto le selezioni per Sanremo, giungendo alla Finale Nazionale. Un’attività che, partita nel 1985, non si limitò al capoluogo ligure ma si espanse in buona parte dell’Italia. Nel 1999 riprendo la vera attività live grazie ai “Real Dream” (Genesis Tribute band) e nel 2001 quella di componente di gruppo autore di musica originale (Rock Progressivo) con “La Maschera di Cera”, di cui tuttora faccio parte. Quest’ultima circostanza apre altresì le porte ai palchi esteri e alla notorietà internazionale, nonché lo stabilizzarsi del ruolo di cantante solista, che a tutt’oggi mi “contraddistingue” e nel quale ho collaborato a tantissimi progetti di altri amici e colleghi musicisti. Nel 2014 entro a far parte dei famosissimi “Delirium”, dove con immenso piacere riprendo anche una marginale attività di tastierista e chitarrista, che ancora oggi conduco con indicibile soddisfazione e onore. Dal 2015, per 4 anni, ho portato in giro per l’Europa il repertorio dei Marillion “periodo Fish” con i Mr. Punch. Ultimo, solo cronologicamente, capitolo, ho realizzato e pubblicato nel 2021 il mio primo album solista. Forse l’ultimo tassello che mancava alla mia piena espressione artistica, anche se non ho mai effettivamente smesso di comporre, sia per Maschera di Cera che per altri. Ci disegni con i colori della vita il suo autoritratto. Questa è decisamente difficile, basilarmente perché non amo descrivermi. Sicuramente vedo il bianco della sincerità e dell’onestà ed il verde della positività e dell’amore assoluto per la Natura in ogni Sua espressione. Aggiungo il giallo del Sole che esprime la mia costante allegria, espansività ed estroversione. A chi conosce il colore della generosità, lascio il compito di aggiungerlo al ritratto! Qual è, attualmente, la definizione di sé stesso che preferisce? Quella di un uomo ancor prima che un artista, dato che è mia ferma convinzione che solo una profonda umiltà e umanità possono formare la base per un messaggio artistico efficace e coinvolgente. Di un uomo semplice e sensibile, che ovviamente non si cura spesso della forma, badando esclusivamente alla sostanza. Quanto conta la Musica, in tutte le sue forme, nella sua vita? Quanto è importante per lei essere sul palcoscenico, suonare e cantare davanti al pubblico? Scindo le due risposte. La Musica è per me Vita. Non è assolutamente un rimpianto che non abbia assunto un ruolo professionistico (ma non transigo sulla professionalità, che inserisco in tutto ciò che faccio), l’importante è che continui ad avvenire ciò che avviene ogni giorno: ossia che io mi alzi dal letto al mattino cantando e cantando vi torni alla sera. Quanto all’incontro col pubblico, è il comunicare alla gente quella Vita che provo dentro di me. Quell’entusiasmo e quella passione che non ho mai smesso di avvertire e nutrire al pari del mio corpo. E il complimento più bello, che spesso ricevo, riguarda appunto il riuscire a trasmettere quella sincera naturalezza. Lei, toscano, vive a Genova, città che è stata negli anni “sessanta” e “settanta” una vera fucina di geni musicali. Moltissimi cantautori e gruppi musicali che hanno fatto la storia della canzone e del pop italiano, sono, in qualche modo transitati dal capoluogo ligure. Qual è stato, ed è attualmente, il segreto degli artisti genovesi? Perché sotto la Lanterna sbocciano tanti artisti? Anche qui mi è piuttosto difficile rispondere. Io sono arrivato a Genova “a cose fatte” e a dirla tutta non ho avuto molto modo di vivere da vicino come intendo io lo spirito di questa gente e di questa città Ma ho sempre avvertito sincerità, rispetto e cuore, tutti ingredienti di una capacità espressiva fuori dal comune. Oltre a ciò, gioca sicuramente un ruolo essere una città di porto, centro focale di un convergere di stimoli ed esperienze nati altrove di immenso volume, fattore che sviluppa sensibilità estrema. Lei, ora oltre ad una brillante carriera da solista, di cui parleremo più avanti, è parte integrante e la voce di uno dei complessi che nei primi anni “settanta” ebbero più successo, i Delirium. Certo ai tempi di Jesahel il gruppo aveva dato una grossa scossa al mondo musicale italiano, decretando, sul palco del Casinò di Sanremo nel 1972, lo sdoganamento della cultura pop e la definitiva scossa prog al mercato discografico. Che effetto le fa suonare con musicisti che sono diventati il mito di una generazione intera e portare nei teatri di mezzo mondo (l’ultima tournée se non erro è stata in Giappone) la musica progressive italiana che tanto successo ha raccolto? È innegabile che, senza con questo mettere in secondo piano qualsiasi esperienza io abbia vissuto – tutti pilastri fondamentali della mia crescita musicale, i Delirium rappresentino il diamante della collana. Non solo per il prestigio della band – non sono mai stato né mai sarò il megalomane che si compiace della notorietà più altisonante – ma anche perché suonare con loro mi ha permesso di raffrontarmi direttamente con un modo molto particolare di vivere il Progressive. È stato un po’ come avere una Macchina del Tempo attraverso la quale io sono entrato in contatto con una specifica mentalità, come se Ettore e Martin (i veterani del gruppo) mi avessero trasfuso, pur in un contesto attualizzato, lo spirito di quegli anni. Il risultato è una maniera diversa di esprimermi, che si affianca alle altre e che costituisce un nuovo versante di me stesso. Visto che la Gazzetta è l’organo di informazione ufficiale delle Edizioni Hogwords, ed ha lettori molto interessati al rapporto che si instaura tra i personaggi intervistati e le loro opere, entriamo a gamba tesa nella sua storia personale. È uscito da pochissimo un suo lavoro discografico nuovo e importante. Ci può parlare di questo suo nuovo album e raccontarci qualche aneddoto della sua creazione? Spero di non dilungarmi nella descrizione di qualcosa che per me rappresenta il punto massimo della mia attività. Non parlo di creatività, ma di capacità espressiva. Come ho detto prima, non ho mai smesso di scrivere musica, negli anni ’90 ad esempio mi sono molto concentrato sul comporre brani strumentali (di stampo new-age, per intendersi). Ma riuscire ad esprimere me stesso in modo totale si è rivelato, una volta chiusasi l’esperienza dei Quasar, difficile. Mi sentivo ostacolato da tante cose, spesso futili e capziose, eppure pesanti come macigni. Questo è descritto in uno dei brani autobiografici dell’album (“Where have I been?”). Sicuramente uno degli aneddoti da citare riguarda i due elementi che definisco “padre e madre” dell’album, vale a dire l’ingresso nel mondo del Reiki (avvenuto a febbraio 2020) e la mia compagna Raffaella Izzo, credo fortemente che senza di loro quei macigni continuerebbero a svolgere il loro ruolo malefico. L’altro aneddoto che rende assolutamente memorabile ed unica questa esperienza, al di là di ogni riscontro e di quant’altro io possa fare in futuro, è aver raccolto l’incredibile stima e l’affetto di colui che da più di 40 anni costituisce uno dei miei Miti musicali assoluti, il chitarrista Gordon Giltrap. Che si è superato in dolcezza e umanità, due sue doti strutturali, decidendo di regalarmi un suo brano su cui intervenire in piena libertà (“12 Towers”). E che mi ha portato all’estasi allorché ho ricevuto la sua conferma (pubblicata anche sul suo sito personale) che il brano verrà da lui incluso anche nel suo prossimo disco, attualmente in lavorazione, nella forma che io gli ho dato. Oltre a ciò, sinteticamente, il disco è un omaggio a ciò che sento dentro e che si è formato in 40 anni. Espresso in maniera semplice ma non banale, dove il riferimento al Progressive è ovviamente presente ma in un modo che lascia spazio comunque alla mia naturalezza, che – ripeto – è sempre stata quella di scrivere fondamentalmente canzoni. Alcune testimonianze mi riferiscono di un disco scorrevole sebbene impegnato, sereno e foriero del desiderio di ripetuti ascolti, che è esattamente ciò che desideravo. E assolutamente non incentrato fortemente sullo strumento voce, caratteristica che – scaturita in modo naturale – non poteva assumere, per la mia innata tendenza a curare la musica nella sua interezza e non prediligendone determinati ingredienti. Questa è una delle domande più difficili da fare ad un’artista. Qual è, secondo lei, il rapporto tra l’uomo Alessandro Corvaglia e il musicista eclettico, il front man mattatore, il cantante, l’artista, il compositore Alessandro? Accidenti…non facile davvero. Provo a rispondere con l’aneddoto che per diverso tempo mi ha spinto a pubblicare su un notissimo social network alcuni divertenti video mattutini in cui davo il buongiorno cantando. Che nascevano in modo assolutamente casuale ed erano determinati dalla serenità che sentivo al momento, correlata alla voglia di tentare di infonderla ad altri che fossero “sintonizzati” sul mio stesso canale emotivo. Alessandro è una persona istintiva, senza formalismi, che ha sempre amato fare musica, in più modi possibili. E questo implicava portarla alla gente. La gioia di farlo, la passione per il teatro – da sempre parallela alla musica – il vivere una sorta di “trance” ogni volta che salgo sul palco sono semplicemente una traslazione di certe sensazioni da me verso l’esterno. Se a volte ho assunto ruoli che determinavano una certa obbligatorietà di comportamenti (riprodurre Peter Gabriel o Fish), opinione generale è che io sia riuscito a rendere un cocktail perfetto di quelle figure e della mia. Questo, a sua volta, deriva dal fatto che affronto solo ciò che sento congeniale al mio spirito e alle mie possibilità. Per fare un esempio, pur amando moltissimo l’hard-rock degli anni ’70 (Deep Purple, Led Zeppelin, Black Sabbath e altro) dubito molto che mi si vedrà mai nelle vesti di cantante solista in un’esperienza simile. Non posso trasmettere ciò che non avverto dentro di me almeno al 90%. I suoi cari, i suoi colleghi, secondo lei come si sentono ad avere un cantante, un personaggio famoso che gira per casa o in ufficio? Purtroppo, questa domanda apre una voragine su di un momento, ormai alle spalle, parecchio controverso, lungo e grigio della mia vita, che ovviamente non approfondirò (ma che rientra nei macigni che ho citato prima) ma che incide sull’argomento della domanda. Al di là di questo, credo che la persona che sin dagli inizi ha evidentemente creduto in me appoggiando ogni mio desiderio musicale (mio papà, scomparso più di 20 anni fa) sia stato ripagato fino a completa soddisfazione. Per altro verso, essendo sempre stato – come mi definisco – “il peggior PR di me stesso”, sono molto restio a parlare di me stesso e di ciò che faccio, rifuggo ogni grado di esibizionismo; conseguentemente non ho percezione di cosa pensino gli altri. I colleghi sono senz’altro soddisfatti, altrimenti mi avrebbero messo alla porta già da tempo… Si sente di dare qualche consiglio al pubblico che si appresta a tornare, speriamo presto, ad assistere agli spettacoli dei Delirium e degli altri gruppi e solisti con cui collabora? Ha qualche raccomandazione o invito da fare alle lettrici ed ai lettori? Questo è il consiglio che do sempre. Vivete la Musica e tornate il più possibile all’ASCOLTARLA, il maiuscolo non è usato a caso ed è per me un elemento fondamentale. È un dato di fatto che da anni i metodi di diffusione della musica hanno provocato lo svilimento del modo di approcciarvi e goderne. E parliamo di qualcosa che è la colonna sonora della Vita! Una cosa simile non può essere solamente sentita, come avviene adesso. È necessario tornare a dedicare a questa Arte la Sua immensa importanza e darle il rispetto che merita. E questo avviene anche ai concerti, dove l’ascolto può mescolarsi ad altre emozioni senza esserne sovrastato. Quindi smettetela di passare la maggior parte del tempo a filmare o fotografare gli spettacoli a cui assistete. Comprendo il desiderio dei "souvenirs", ma se il ricordo delle emozioni legate ad uno spettacolo non rimane prima nella vostra anima e mente piuttosto che nella memoria di un dispositivo, avrete sprecato una grande occasione di volare! Ci parli del futuro. Oltre al disco appena entrato in commercio ed ai concerti, speriamo tanti, che sono in programma, sta scrivendo, pensando o organizzando cose nuove? Oltre ad alcune importanti collaborazioni in corso, una delle quali a me molto cara, il futuro contemplerà senz’altro il nuovo disco dei Delirium. Per Maschera di Cera l’evento definito nei tempi più prossimi sarà la partecipazione, a maggio 2022 (dopo due rinvii dovuti al maledetto Covid), al prestigioso festival Prog “Terra Incognita” in Quebec City, Canada. Senza con questo escludere possibili sviluppi discografici. Naturalmente continuerò, visto che ormai ho sconfitto quei macigni, a comporre ciò che farà parte del mio prossimo disco solista; se posso evito i figli unici… Per finire ci racconti di questo periodo tremendo del virus. Ha avuto esperienze particolari, paure, tristezze o gioie inaspettate da raccontare? Cosa rimarrà nel suo cuore dei lunghi giorni passati in quarantena? Con quali speranze e desideri l’uomo Alessandro si appresta al ritorno della vita normale, se mai la vita ritornerà normale? Lo stile di vita che ormai conduco da tempo mi fa assumere sempre e comunque una visuale pacifica e ottimistica degli eventi. E conduco una vita sana, corroborata da un naturale rafforzamento del mio sistema immunitario, legato anche a tecniche di meditazione, oltre al citato e frequentissimo Reiki. Per cui ho affrontato la pandemia senza timori e – per fortuna – perdite. L’unica tristezza riguarda un’esperienza vissuta a Londra da mio figlio, che poteva essere una chance unica di sviluppo professionale nella sua passione (la cucina) e che ha dovuto maledettamente interrompersi. E i lockdown mi hanno spesso impedito di vedere i miei figli quanto desideravamo Purtroppo, quanto al tema del “ritorno ad una vita normale”, visto come molte persone hanno reagito e gestito l’evolversi della vicenda, quell’ottimismo dovrò abbandonarlo. Per molti motivi che qui non avrebbe senso affrontare ma che si collegano ad una mia ormai stratificata e piuttosto incrollabile sfiducia nel genere umano. Il sorriso di Alessandro, comunque, non si spegne, anzi, la sua solarità e il suo essere artista a tutto tondo emergono con forza nel suo sguardo. Presto le luci del palco si accenderanno e lui sarà con il gruppo a cantare e suonare la chitarra acustica o le tastiere e a regalare al pubblico il massimo, come sempre, con professionalità e passione. A sorpresa, prima di iniziare, Ettore, Martin, Alessandro, Michele, Fabio e Alfredo mi hanno chiesto di presentare il loro concerto. Spero d’aver assolto bene il mio compito, certo ero emozionato come un bimbo e non riuscivo a capacitarmi d’essere sul palco dei miei idoli della gioventù. Naturalmente il concerto è stato splendido, pieno di musica e intriso dello spirito prog che anima i musicisti ed appassiona il pubblico. La piazza era colma di ritmo, di calore e di ricordi e molte lacrime sono corse sulle guance di chi era giovane quando i successi dei Delirium animavano i juke-box nelle estati lontane. Alla fine, gli abbracci, amichevoli e riconoscenti, sono stati tanti. Non posso che ringraziare Alessandro Corvaglia per l’intervista, invitando tutti gli appassionati ad ascoltare il suo nuovo disco e a seguire, con interesse, la carriera di questo straordinario musicista. Claudio Calzoni |